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13 mar 2024

Morire congelati

di Luciano Caveri

Molte volte, quand’ero un giovane cronista televisivo, sono arrivato in elicottero sul luogo di una sciagura in montagna, spesso poco dopo l’accaduto. Ho visto con i miei occhi alpinisti e sciatori morti in diverse circostanze e ci voleva garbo e rispetto nel ricostruire le dinamiche dei fatti e la storia personale degli scomparsi. La cronaca nera non dev’essere uno spettacolo, un grand guignol, come spesso ormai si fa oggi, senza rispetto alcuno.

L’alta montagna è pericolosa e mai bisogna confidare troppo nella proprie capacità e nella propria fortuna. A morire non sono solo inesperti che non rispettano le regole, ammesso che le conoscano, ma anche persone sperimentate e capaci. Esiste naturalmente l’imponderabile anche se il comportamento è perfetto, quando ci mette lo zampino il destino. Ho perso molti amici in montagna e ogni volta ci si interroga sul perché e la risposta più giusta è che in determinate situazioni il fattore rischio non potrà mai e poi mai venire del tutto azzerato.

Leggevo sul quotidiano vallesano Le Nouvelliste della tragedia a pochi chilometri dalla Valle d’Aosta, già teatro in passato di analoghe sciagure, che sembrano ripetersi con inquietante ricorrenza. Le circostanze in sé, come riassunte dal giornale, sono scarne: “Ils devaient se rendre de Zermatt à Arolla. Une traversée mythique dans les Alpes valaisannes. Le premier tronçon de la grande Patrouille des Glaciers. Le plus exigeant et redouté. Samedi 9 mars, trois frères originaires de Vex, accompagnés de l’amie fribourgeoise de l'un d’entre eux, de leur cousin et de leur oncle d’Evolène, se sont élancés sur ce tracé. Piégés dans une tempête de foehn, ils n’atteindront jamais Arolla, 30 kilomètres plus loin. Dimanche soir, cinq d’entre eux ont été retrouvés sans vie. Actuellement, les recherches se poursuivent pour localiser la sixième personne”.

Gli alpinisti sono morti congelati e l’individuazione del gruppo, avvenuta grazie ad un telefonino, non ha consentito purtroppo di salvarli in tempo. E pensare che, come ricorda Enrico Marcoz sul Corriere, parliamo di persone allenate e coscienti dei rischi: ”Erano saliti lassù — sulla «Haute route» — per prepararsi alla «Patrouille des glaciers», famosa gara che attira ogni anno migliaia di concorrenti da mezzo mondo”.

Ancora Le Nouvelliste: “«Dans une tempête de foehn, le vent balaie toutes les traces. On ne sait plus d’où on vient, ni où on va.» Armand Salamin est guide de montagne depuis 43 ans. Autant d’années durant lesquelles, il a parcouru les crêtes par tous les temps. «Tous les repères disparaissent en 15 ou 30 minutes, c’est très rapide. Et si la décision n’est pas prise à temps, il n’y a plus de retour possible», explique le professionnel”.

Si può dire tranquillamente che il dramma poteva essere evitato. Sarebbe bastato seguire le previsioni meteo, che in Svizzera sono molto dettagliate per capire come sarebbe stato meglio rinunciare. Spesso nel prendere rischi ormai ci si affida alla capacità del Soccorso in montagna che, grazie all’impiego di elicotteri e di personale assai qualificato, è in grado di operare su terreni difficili e in condizioni estreme. Ma il maltempo non consente di operare sempre e le squadre da terra non possono assicurare la rapidità necessaria se ci si trova, come accaduto, in una bufera infernale.

Purtroppo chi ha approfondito i meccanismi di certi eventi segnala altri due importanti errori cognitivi rilevabili nel comportamento di quanti decidono di esporsi a situazioni pericolose: l'overconfidence, cioè la convinzione di sapere più di quanto effettivamente si sappia, e l'attitudine al "risk taking", ovvero la propensione a mettere in atto comportamenti rischiosi. Nel primo caso l'errore sarebbe imperniato sull'illusione di poter tenere sotto controllo eventi del tutto accidentali, ed inoltre denuncia un eccesso di sicurezza e la pretesa di aver assimilato una conoscenza approfondita dell'ambiente montano. Nel secondo caso, l'errore sarebbe dovuto alla sottovalutazione della probabilità che si possa incorrere in eventi negativi, ma anche alla propensione individuale a mettere in atto comportamenti a rischio.

Così si spiegano drammi, altrimenti incomprensibili.