Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
08 apr 2024

Non lasciarsi vivere

di Luciano Caveri

Sono ormai molti anni che mi occupo di politica in ruoli elettivi in nome della Valle d’Aosta. L’ho sempre fatto cercando di impegnarmi e attraversando momenti diversi e soprattutto mantenendo lo sforzo di percepire i cambiamenti in atto senza la stupida tentazione di rimpiangere quel che è stato.

Sul campo bisogna affrontare quel che avviene oggi e guardare nello specchietto del retrovisore serve certo per conoscere la storia e i precedenti, ma non per affrontare con strumenti attuali la realtà che abbiamo sotto i piedi. Il nemico peggiore è la retorica vuota e ripetere in modo meccanico vecchi slogan che sanno di stantio.

Credo di aver imparato due cose. Esiste da una parte la necessità di affrontare la quotidianità fatta di problemi amministrativi per far andare avanti la macchina pubblica e regolare il funzionamento della società in cui viviamo e non è solo routine perché sul cammino appaiono periodiche emergenze. Dall’altra, invece, bisogna riuscire a restare ancorati al presente e soprattutto guardare al futuro, capendo e anticipando i cambiamenti in atto, affrontando piste nuove. Roba tosta, insomma, che prevede continui aggiornamenti e staff efficienti per lavorare con serenità sui dossier e non sempre è facile farlo e non mi dilungo su carriere politiche danneggiate per vicende giudiziarie finite poi nel nulla.

Ma, nel caso di una piccola comunità come la Valle d’Aosta, destinata a restringersi per ragioni demografiche, bisogna per stare in piedi avere almeno tre consapevolezze. La prima è che la comunità abbia coscienza di sé e della propria identità. L’Autonomia speciale non è caduta dal cielo e si può evolvere bene o male, ma bisogna conoscerne e difenderne le ragioni, perché nessun altro può farlo al posto nostro.

Di conseguenza - seconda osservazione - interessarsi alla cosa pubblica e mantenere una partecipazione informata alla politica devono restare capisaldi attraverso idee e proposte e non concependo il confronto politico come una polemica continua piena di veleni e spesso di ignoranza e ripetitività dei temi sino allo sfinimento. Per cui la qualità dei politici non è secondaria e per questo bisogna avere consapevolezza nelle scelte. Mugugnare in modo generico e demagogico su di una politica incapace o distante prevede una riflessione autocritica sul fatto che in democrazia a scegliere i propri rappresentanti sono i cittadini e nessuno ottiene per magia un posto di responsabilità.

Terza riflessione.Se qualcosa ho imparato dall’esperienza a Roma e a Bruxelles, che cerco di mantenere viva, è che il diritto conta e le norme contenute nelle leggi sono quanto difendono e sviluppano l’autonomia valdostana. Questo deve avvenire facendoci conoscere e dimostrando ovunque le nostre ragioni in modo educato ma deciso. Questo presuppone inoltre che dietro a chi si trova ad interpretare le necessità e i diritti ci sia la già citata comunità, altrimenti si è come generali senza truppe. L’indifferenza uccide e indebolisce ogni azioni concreta.

L’appello naturalmente è rivolto in particolare ai giovani, molti dei quali - con una vera fuga di cervelli - vanno via e in pochi tornano. Le culle vuote e un’immigrazione senza regole e regia peggioreranno la situazione e bisogna prepararsi alle necessità, compresi i costi, sul nostro territorio alpino derivanti dai cambiamenti climatici dovuti all’aumento della temperatura. Non bisogna drammatizzare queste situazioni, ma neanche fare finta di niente e non reagire, crogiolandosi nelle lamentazioni.

Intendiamoci: in tanti ci stiamo pensando e ci diamo da fare. Ma quel che conta è che ci sia una percezione generale, condivisa e vitale e non ci sia l’idea che a tutto deve pensare il Palazzo e si deleghi ogni decisione in una sorta di vuoto di consapevolezza.

Scrivo queste cose con infinita tenerezza perché bisogna accendere le luci per vedere le cose e evitare di lasciarsi vivere.