Nel sistema italiano esiste una specie di fisarmonica fra centralismo e regionalismo. Sin dai tempi dell’Unità d’Italia vinse il centralismo e solo con la Repubblica la Costituente tracciò la via di un regionalismo con Regioni a Statuto speciale e Province autonome come modello avanzato e con le Regioni ordinarie nel cassetto sino agli anni Settanta.
Da allora ci sono stati saliscendi, il cui culmine fu la riforma costituzionale del 2001 con un “quasi federalismo”, rimasto piuttosto inespresso, mentre le Speciali combattevano le battaglie contro i tentativi di ridurne poteri e competenze e molte sentenze della Corte Costituzionale sono andate purtroppo in questo senso.
Ora il Governo Meloni ha aperto all’autonomia differenziata per le Regioni ordinarie che lo hanno chiesto, che risulta al momento impantanata nell’iter parlamentare e ha una trattativa in corso con le Speciali, di cui per ora non si ha l’esatto perimetro.
Certo è che chi segue il PNRR e i Fondi strutturali coglie ogni giorno segnali di una logica centralistica, che risulta assolutamente controcorrente rispetto a quanto sta avvenendo nel resto d’Europa.
Esempio eclatante di queste ore la nascita di una nuova cabina di coordinamento del PNRR basata sui Prefetti. Si è riunita in queste ore in videoconferenza – roba da non credere – con la Prefettura di Roma (che non è per nulla gerarchicamente più elevata di qualunque altra). Erano dunque collegate le 103 Prefetture italiane e, nel caso della Valle d’Aosta, ad essere collegato era il Presidente della Regione che ha le funzioni prefettizie con chi vi scrive che ha la delega sul PNRR. L’incontro aveva come momento clou un discorso, dall’evidente tono elettorale, del Presidente Giorgia Meloni. Nulla di eclatante e pure legittimo che avvenga, ma che si allochi presso le Prefetture un organismo di questo genere cozza di brutto con il ruolo delle Regioni a Costituzione vigente. E dobbiamo benedire ik decreti luogotenenziali e il nostro Statuto che di fatto sposarono il modello dell’abolizione in Valle d’Aosta del Prefetto.
Riecheggiano in questo nostro modello originale spesso attaccato da persone ignoranti o in malafede le tesi di Luigi Einaudi, che fu pure Presidente della Repubblica, quando scriveva sull’abolizione dei prefetti nel 1944: "Proporre, in Italia ed in qualche altro Paese di Europa, di abolire il "prefetto" sembra stravaganza degna di manicomio. Istituzione veneranda, venuta a noi dalla notte dei tempi, il prefetto è quasi sinonimo di Governo e, lui scomparso, sembra non esistere più nulla. Chi comanda e chi esegue fuor dalla capitale? Come opera l'amministrazione pubblica? In verità, il prefetto è una luce che fu inoculata nel corpo politico italiano da Napoleone. Gli antichi Governi erano, prima della rivoluzione francese, assoluti solo di nome, e di fatto vincolati d'ogni parte, dai senati e dalle camere dei conti o magistrati camerali, gelosissimi del loro potere di rifiutare la registrazione degli editti che, se non registrati, non contavano nulla, dai corpi locali privilegiati, auto-eletti per cooptazione dei membri in carica, dai patti antichi di infeudazione, di dedizione e di annessione, dalle consuetudini immemorabili. Gli Stati italiani governavano entro i limiti posti dalle "libertà" locali, territoriali e professionali. Spesso "le libertà" municipali e regionali erano "privilegi" di ceti, di nobili, di corporazioni artigiane ed erano dannose all'universale. Nella furia di strappare i privilegi, la rivoluzione francese distrusse, continuando l'opera iniziata dai Borboni, le libertà locali; e Napoleone, dittatore all'interno, amante dell'ordine, sospettoso, come tutti i tiranni, di ogni forza indipendente, spirituale o temporale, perfezionò l'opera. I Governi restaurati trovarono comodo di non restaurare, se non di nome, gli antichi corpi limitatori e conservarono il prefetto napoleonico. L'Italia nuova, preoccupata di rinsaldare le membra disiecta degli antichi ex-Stati in un corpo unico, immaginò che il federalismo fosse il nemico ed estese il sistema prefettizio anche a quelle parti d'ltalia, come le province ex-austriache, nelle quali la luce si era infiltrata con manifestazioni attenuate. Si credette di instaurare libertà e democrazia e si foggiò lo strumento della dittatura".
Niente male questa lunga spiegazione storica e poi Einaudi rincara la dose: "Democrazia e prefetto repugnano profondamente l'una all'altro. Né in ltalia, né in Francia, né in Spagna, né in Prussia si ebbe mai e non si avrà mai democrazia, finché esisterà il tipo di governo accentrato, del quale è simbolo il prefetto. Coloro i quali parlano di democrazia e di costituente e di volontà popolare e di autodecisione e non si accorgono del prefetto, non sanno quel che si dicono. Elezioni, libertà di scelta dei rappresentanti, camere, parlamenti, costituenti, ministri responsabili sono una lugubre farsa nei Paesi a Governo accentrato del tipo napoleonico”.
E più avanti: “Perciò il delenda Carthago della democrazia liberale è: Via il prefetto! Via con tutti i suoi uffici e le sue dipendenze e le sue ramificazioni! Nulla deve più essere lasciato in piedi di questa macchina centralizzata; nemmeno lo stambugio del portiere. Se lasciamo sopravvivere il portiere, presto accanto a lui sorgerà una fungaia di baracche e di capanne che si trasformeranno nel vecchio aduggiante palazzo del governo. Il prefetto napoleonico se ne deve andare, con le radici, il tronco, i rami e le fronde. Per fortuna, di fatto oggi in Italia l'amministrazione centralizzata è scomparsa. Ha dimostrato di essere il nulla; uno strumento privo di vita propria, del quale il primo avventuriero capitato a buon tiro poteva impadronirsi per manovrarlo a suo piacimento. Non accadrà alcun male, se non ricostruiremo la macchina oramai guasta e marcia. L'unità del paese non è data dai prefetti e dai provveditori agli studi e dagli intendenti di finanza e dai segretari comunali e dalle circolari ed istruzioni ed autorizzazioni romane”.
Invece, con il PNRR, torna lui, il Prefetto! E non lo dico in odio alla categoria, visto che il mio bisnonno e mio nonno furono Prefetti, ma a favore di un modello di Stato almeno regionalista se non, come ho sempre sperato, federalista, da cui ci si aspettano cose ben diverse da eredità napoleoniche.