Domani ci sarà a Saint-Vincent, in un congresso straordinario con regole dall’ampio respiro democratico e partecipativo, la réunification delle forze autonomiste sotto il simbolo dell’Union Valdôtaine.
Inutile dire quanto io sia felice che questo finalmente avvenga, dopo una vera e propria corsa ad ostacoli, che si è protratta per molto tempo e con passaggi che hanno fatto temere il peggio.
Avrò pochi minuti per dire la mia durante i lavori e francamente non so bene come li impiegherò, a seconda del clima che si respirerà e di quanto diranno coloro che parleranno prima di me. Mi auguro di trovare le parole giuste per disegnare con rapidità le sfide difficili che ci attendono e bisogna farlo con il sorriso di chi si ritrova.
Si tratta, senza esagerare con l’enfasi, di un passaggio storico, che mi auguro darà i suoi frutti per garantire un ruolo decisivo in futuro ad una forza politica che consente con la sua presenza di mantenere nell’unità di intenti una specificità nella rappresentanza elettiva coerente con il particolarismo valdostano alla base dell’Autonomia speciale.
Sono ormai anni che speravo in questo momento, che dev’essere anzitutto una rappacificazione che voli più in alto delle divisioni e delle rivalità da seppellire. Le ambizioni personali in politica sono uno stimolo, ma vanno sempre inquadrate in un gioco di squadra in cui mettere assieme e valorizzare le caratteristiche di ognuno in un disegno collettivo che permetta di crescere e di fare di un movimento politico una fucina di idee da trasferire nell’azione politica e amministrativa, che sono un tutt’uno e non due aspetti separabili.
Quando me ne andai dall’UV, per un clima irrespirabile dovuto al peso di un uomo solo al comando con cui non andavo d’accordo a causa di comportamenti che avevano zittito ogni confronto interno, fu per me una scelta difficile con un dolore profondo, che creò in me un vero e proprio spaesamento. Lo feci, però, per coerenza con le mie convinzioni e per rispetto della storia autonomista della mia famiglia: dalla Jeune Vallée d’Aoste al dopoguerra sino alla fondazione dell’Union Valdôtaine e al ruolo cruciale di mio zio Séverin Caveri per decenni leader del Mouvement.
La mia uscita, che da alcuni fu considerata un tradimento, fu una decisione sofferta anche perché ben sapevo che proprio grazie all’UV avevo avuto accesso ad una carriera politica lunga con ruoli politici a diversi livelli che ho sempre cercato di onorare. Ma non c’erano più le condizioni per stare. Questa è l’ultima volta che guardo indietro: bisogna ormai guardare avanti, sapendo che ogni passaggio anche doloroso della propria vita va vissuto per quel che ti resta come insegnamento. Indugiare sul passato è nocivo ed è una perdita di tempo.
Non mi considero, assieme ai miei amici che tornano nell’Union, un figliol prodigo da festeggiare. La parabola del Vangelo di Luca mi ha sempre lasciato perplesso, pur capendone il significato più profondo rispetto al peccatore redento. Ho sempre simpatizzato con il fratello “buono” che aveva fatto il suo dovere e non aveva mai avuto a differenza del fratello dei festeggiamenti e un vitello grasso da mangiare! Ma va osservato come la politica è certo una fede, ma con la f minuscola e ricomposizioni come queste non hanno vincitori e vinti. Saremo domani persone che si ritrovano per lavorare assieme come avvenuto in questi anni alla guida della Valle d’Aosta nel Consiglio e nel Governo .
Ritrovarsi è indispensabile ed è giusto tornare assieme nell’Union Valdôtaine per il bene della comunità e della politica. È bene ricordare come questo avverrà nel nome di valori comuni che nessuno, anche stando altrove, aveva mai abiurato e dunque essere tutt’uno è la giusta e gioiosa conclusione.