Ci sono persone che nei propri paesi di apparenza tengono viva la storia locale, che non è per nulla una storia minore, ma si intreccia - con rispetto dei luoghi e delle comunità - con la Storia con la maiuscola.
Penso ad alcune personalità che se ne sono occupate con diverse modalità: a Saint-Vincent con Pigi Crétier (in passato c’era stato Rino Cossard) o a Cesare Cossavella ad Arnad o, pensando ad una persona scomparsa, Ottavio Giovanetto a Verrès (dove oggi la fiaccola è stata ripresa da Ezia Bovo). Per Sarre la persona preziosa è Adriana Meynet che, con instancabile curiosità, scava nel passato del suo paese e ne racconta la memoria, altrimenti destinata all’oblio se non opportunamente cristallizzata.
La sua ultima fatica letteraria, edita da LeChâteau, riguarda una donna con cui ho una parentela acquisita, Rosina Roccavilla (1893-1961), definita nel libro sopra la foto di copertina che la ritrae ”Mère des enfants pauvres”. Un sostanziale riassunto di una vita dedicata alle persone più fragili della sua comunità in una logica di generoso bénévolat. Quel che è emerso anche nella presentazione pubblica è lo spaccato, di cui mi pare non ci sia grande consapevolezza, di che cosa fosse la Valle d’Aosta nel suo reticolato comunale e nella vita collettiva degli abitanti dell’epoca.
Esiste spesso una retorica del ”come eravamo”, colorata dalla tinta del romanticismo, che dipinge un mondo del passato quasi favolistico. Mentre la realtà della vita quotidiana di più di un secolo fa era una vita rude e difficile per larga parte della popolazione valdostana e sarebbe bene ragionare su come nell’arco del Novecento sino ai giorni nostri lo sviluppo economico e sociale abbia fatto passi da gigante per la nostra comunità. E di come il sistema di autogoverno autonomistico dal secondo dopoguerra sia stato uno straordinario sistema di sviluppo, pur tra mille difficoltà. Di questo bisogna avere perfetta conoscenza e consapevolezza perché è uno scrigno di persone, valori e idee che hanno permesso alla Valle d’Aosta un percorso senza il quale di sicuro la situazione valdostana sarebbe grandemente peggiore. Il libro di cui parlava restituisce l’aria novecente
sca, che la vita di Rosina consente di portare come cronologia sino all’inizio degli anni Sessanta e questo ha consentito all’autrice di avere ancora testimonianze viventi, oltre a documenti buona parte dei quali rinvenuti in una soffitta della Casa Caveri in via Sant’Anselmo ad Aosta per via dell’asse ereditario .
La ricercatrice ha messo ordine nei documenti e nelle fotografie e anche negli alberi genealogici, compresi i Caveri. Per capirci: la mamma di Enrichetta, Jeanny Roux, era cugina prima di mia nonna Clémentine, sposata con mio nonno René Caveri ( che in verità aveva più nomi: Romain. René, César, Charles. Magne, Philolaos. Gilbert, Henry, Joseph). Mentre il papà, Alessandro Roccavilla, era una punta di diamante della società biellese.
Roccavilla, che per la sua attività culturale - in ambito etnografico e con l'uso della nascente fotografia - faceva la spola fra la cittadina piemontese (anche se in realtà era nato a Moretta di Cuneo da una famiglia di farmacisti) e quella dov'era arrivato per insegnare a Liceo ginnasio. Nel 1911 il giornale "Le Val d'Aoste" diceva di lui con trasporto: "Valdôtain d'adoption, mais plus valdôtain che beaucoup de valdôtains". C'è uno studio su di lui, rinvenibile in Internet, a firma di Dionigi Albera e Chiara Ottaviano, che racconta della vita e delle opere di Alessandro Roccavilla. Si ricorda così che fu sindaco di Sarre (dove di certo stava tutta l'estate in villeggiatura) fra il 1905 e il 1911, che fu politicamente un liberale moderato, ma che il compito amministrativo nel paese era più una conseguenza del suo ruolo di notabile che di altro. La cosa curiosa è che, nel lavoro che Roccavilla svolse - non senza polemiche - per la famosa mostra di etnografia italiana del 1911 a Roma, riprodusse nell'esposizione nella Capitale una casa colonica valdostana, comprensiva - con una sorta di autocitazione - della pianta del sindaco (chiamata "una lunga antenna ornata di bandierine"), che in Valle d'Aosta indica ancora oggi in molti Comuni - e per probabile eredità napoleonica - la casa del primo cittadino di un paese. Tutto poi alla fine si riassume nella lapide al cimitero di Sarre: "Prof. Dott. Commendatore Alessandro Roccavilla. Preside del liceo di Biella, alla famiglia, alla scuola e al pubblico bene dedicò il cuore generoso, l'ingegno eletto, la vita operosa. Si addormentò nel Signore il 16 novembre 1929".
Io non ho ricordi, a differenza di qualche flash di mio fratello lo 9 » più vecchio di me, di questa Signorina Roccavilla e della sua villa di Sarre, che lei stessa donò alla Parrocchia per un uso sociale a vantaggio dei giovani. Una scelta coerente con la sua attività di crocerossina nel suo paese.
Così, in un passaggio del libro, la ricorda la Meynet: ”Rosina, nata a Biella il 3 febbraio 1893, dedica la sua vita al prossimo meritandosi il soprannome di "mère des enfants pauvres". Diventa Ispettrice delle infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana e consacra la sua vita all'assistenza ai malati e ai poveri organizzando pasti per i bambini più bisognosi. Il paese si ricorda ancora di Lei e del suo infaticabile lavoro di infermiera: a tutte le ore era presente per fare iniezioni e per portare le prime cure ai malati. La sua era una presenza discreta sempre vicina ai reduci e agli ex-internati. Profondamente religiosa, dopo la morte dei suoi familiari (la nonna paterna nel 1916, la madre il 16 novembre 1916, il fratello Mario il 2 giugno 1924, il padre nel 1929) visse a Sarre nella casa paterna occupandosi di visitare e assistere gli infermi e i poveri della parrocchia, aiutando le famiglie in difficoltà e offrendo pasti ai ragazzi, divenendo madrina (della Cresima) di molti giovani del paese.
Supplisce personalmente sovente alle difficoltà economiche delle famiglie, soprattutto per le spese mediche”.
Che bello chen Sarre abbia voluto rendere omaggio a lei e alla sua famiglia.