Mai smetterò, finché campo, di scrivere contro gli estremismi che ammorbano il mondo con menti imprigionate in ideologie totalitarie che sviliscono le persone e popoli interi. Sono i principali nemici della democrazia e lo si deve ricordare, qualunque siano le loro capacità di camuffamento e di inganno.
Non predico un moderatismo amorfo e grigio, frutto di una mancanza di passione, ma un buonsenso fatto di un confronto democratico senza eccessi, polemiche sterili e ovviamente rischio di violenze. Sono stufo di chi, con fideismo cieco, vive di sue convinzioni cieche e mai si mette in discussione. Si risponde loro “soldatini” con un sano progressismo, che vuol dire scegliere i temi cardine e affrontarli senza paraocchi e prendendo atto di società che cambiano e bisogna avere le capacità duttili di adeguamento.
Guardando le elezioni francesi che ho seguito con apprensione, ho tirato un sospiro di sollievo, anche se chi mi conosce ha sempre ritenuto un rischio calcolato quello dello scioglimento della Assemblée nationale da parte del Presidente Emmanuel Macron.
La famiglia Le Pen ha radici pessime ed ben documentate e l’attuale evoluzione, riassunta dal Rassemblement national ne è il frutto più maturo, sapendo quanto astutamente si siano spostati su posizioni apparentemente morbide ed è solo apparenza. Più o meno quello che Giorgia Meloni sta cercando di dimostrare in Italia. Ma basta scavare giusto sotto la superficie per rendersi conto della realtà goffamente camuffata con radici neofasciste che sono emerse bene nell’inchiesta sui giovani di Fratelli d’Italia che possono essere giustamente ascritti al vecchio e tragico estremismo nero. In extremis la Francia, con un colpo di reni, ha evitato il peggio, dimostrando come il vituperato Macron abbia compreso come disinnescare con il sistema a doppio turno delle Politiche francesi i rischi di strapotere dell’estrema destra.
Ora, per essere equi nel giudizio, va sminato, come se fosse una bomba pronta a scoppiare, l’altro estremista, Jean-Luc Mélenchon, il cui massimalismo dall’altra parte dello scacchiere con la sua La France insoumise fa il pari con Bardella e i suoi camerati. Su questo giudizio bisogna essere chiari, perché l’agitatore francese, espressione del peggior giacobinismo, incarna tesi strampalate e pure una sua aggressività personale che inquietano chi crede nella democrazia.
Certo può essere considerato un male minore rispetto al lepenismo, ma qualunque sincero democratico non può che, con equità, denunciare la pericolosità anche di quest’altro estremismo che insegue un vago disegno rivoluzionario gravemente vecchio nella sua concezione con incapacità di lettura della società.
Il populismo e la demagogia finiscono per perdere la connotazione tradizionale e diventano un mélange intercambiabile agli estremi che combaciano su molti dossier. Destra moderata di stampo gaullista e direi macroniana e i socialisti sono ormai giunti al bivio di una svolta repubblicana intrisa di antichi valori, uniti dall’europeismo, dai diritti civili come caposaldo, da una netta visione antirussa a favore dell’Ucraina, da una lotta all’antisemitismo che unisce estremisti di diverso colore.
Che questo possa essere cementato da una personalità eminente come da un Primo ministro autorevole d’intesa con l’Eliseo sarebbe una garanzia di successo e di progressivo isolamento di chi nei valori democratici non si ritrova affatto.