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11 lug 2024

Questione di…ciabatte

di Luciano Caveri

La ciabatta appare in tutto il suo splendore d’estate, uscendo dal consueto uso domestico, ormai sdoganata non solo dalle grande case di moda, ma anche nell’uso comune anche maschile.

Purtroppo – lo vedo coi miei occhi – questo avviene sui posti di lavoro spesso con le infradito, di cui dirò in barba a qualunque ragionevole dress code, assieme all’altra calzatura imparentata e cioè il sandalo.

È un look più antico di quello che si pensi. La parola - spiega Etimologico - viene dal tardo latino e illustra la tecnologia da cui deriva: l’origine sōga ‘corda, correggia, striscia di cuoio’ come adattamento toscano dell’emiliano-romagnolo zavata, da un precedente sovatta.

Per me l’evocazione della ciabatta mi fa ripiombare ai lunghi mesi estivi al mare nella materna Imperia e le protagoniste erano le infradito, che chiamavamo kontiki, parola che oggi dice poco, ma che all’epoca evocava un’impresa bizzarra e dovessi dirvi non so quale sia il collegamento. Forse erano le ciabatte dei navigatori di cui tra breve dirò oppure esisteva una marca che le commercializzava?

La storia da cui deriva è questa. Thor Heyerdahl era nato nella cittadina norvegese di Larvik, il 6 ottobre 1914. La madre era direttrice del museo locale, e fu proprio lei a suscitare nel giovane Thor l’interesse per la zoologia e l'antropologia e così il giovane si specializzò in antropologia delle isole del Pacifico. Poco più che ventenne Thor fece la sua prima ricerca sul campo in Polinesia, restando un anno nell'isola di Fatu-Hiva (Isole Marchesi), con il compito di spiegare origine e presenza di flora e fauna in quelle sperdute isole del Pacifico.

Da un capo polinesiano ascoltò una leggenda, la cui sintesi è: "Tiki era un dio e un capo. Fu Tiki a portare i miei avi sue queste isole su cui noi ora viviamo. Prima vivevamo in una grande terra, lontana”.

Questo racconto del Kon-Tiki ("Figlio del sole") spinse Heyerdahl a ipotizzare che la migrazione verso la Polinesia non arrivasse dall’Asia  ma da antiche civiltà del Sud America e per questo si recò in Perù per capirne di più. Decise infine di provare il viaggio con una zattera, costruita con tronchi di balsa sul modello delle antiche imbarcazioni peruviane, con cui fu effettuata (28 aprile-7 agosto 1947), da Callao (Perù) allo scoglio Raroia delle Isole Tuamotu nel Pacifico

meridionale (oltre 4000 miglia), al fine di stabilire la possibilità che analoghe spedizioni, sfruttando il monsone e la corrente sud-equatoriale del Pacifico, potessero essere state compiute in epoca precolombiana. Il tentativo, narrato nell’opera dello stesso Heyerdahl Kon-Tikiexpedisjonen (1949), ebbe esito positivo.

Quando indossavo le mie ciabatte conoscevo questa storia. Arianna Chirico su Repubblico in un articolo simpatico mi ha ispirato sul tema: ”Alcuni studiosi le considerano le prime scarpe della storia, ma oggi le infradito, con il loro design basic e funzionale, sono le calzature più gettonate e conosciute di sempre: comode, genderless, irrimediabilmente semplici con la loro suola piatta, tipicamente in gomma, e un cinturino a V, in PVC o nylon, con due appendici tra alluce e ilice a fissare il piede alla scarpa. Una vecchia e desueta credenza li relega a momenti informali e di relax, per la spiaggia o per la doccia, ma le collezioni degli ultimi anni continuano a lavorare sul loro design, a volte stravolgendolo con maxi platform e volumi esagerati per un effetto chunky, altre con kitten heelse materiali preziosi per ri-contestualizzarli in ambienti più formali e fancy”.

Più avanti: ”Secondo gli esperti, del primo prototipo mai realizzato nella storia degli infradito si ha una testimonianza in Mesopotamia, tramite una lastra di pietra risalente all’anno 2250 a.C., che ritrae il re Naram-Sin con queste calzature. A quel tempo erano realizzati con legno e sparto (un’erba molto resistente), ma erano riservati comunque solo alle classi superiori, che li indossavano durante gli atti cerimoniali all'interno del palazzo, mentre all'esterno si camminava a piedi nudi. Analogamente, un prototipo simile veniva realizzato in Egitto nello stesso periodo, avvalendosi di suole di legno e strisce di papiro. Li possedevano solo i ricchi e i sacerdoti, primi fra tutti i faraoni e i loro familiari.  I modelli più semplici avevano la suola in cuoio oppure in papiro intrecciato. Per i regnanti invece, spesso venivano realizzati in oro o impreziositi da gioielli intarsiati, come dimostrano diverse testimonianze iconografiche e fisiche provenienti dalle tombe reali”.

E ancora: ”Altre grandi popolazioni li utilizzavano già nell’antichità: nell’Antica Roma, i sandali infradito con suola molto alta venivano usati da attori e attrici in palcoscenico, per sembrare più alti; in Africa, i Masai li realizzavano con pelle animale; in India con fibre di legno, in Messico con yucca e in Asia con fibra di riso. In Giappone, intorno al periodo Heian (794-1192), nacquero gli zōri, una tipologia di infradito dalla tradizione antichissima, realizzato con materiali naturali e tipicamente indossato con i calzini. Guai infatti a mostrare le dita dei piedi: mettere in mostra i piedi era per i giapponesi simbolo di allusione sessuale e totale indiscrezione. La popolarità di queste calzature sopraggiunse dopo la Seconda Guerra Mondiale: i soldati americani arrivati in Giappone familiarizzarono con lo zori e ne rimasero affascinati, a tal punto da portarli in patria. Negli USA degli anni Cinquanta divennero un successo, indossati per lo più in spiaggia, per evitare di bruciare le piante dei piedi. Anche il loro nome presto cambiò, seguendo così la scia del successo: inizialmente chiamati jandals, un termine coniato mixando le parole Japan e sandals, finirono presto per diventare le cosiddette flip flop. Una scelta, quella della lingua inglese, del tutto onomatopeica”.

Infine: ”Nel 1962, la storia degli infradito visse un nuovoupgrade: l'azienda brasiliana Alpargatas, di cui fa parte Havaianas, ne creò una variante super resistente. Nel 1966, Alpargatas registrò il brevetto del primo infradito in gomma e replicò una texturesimile alla trama di paglia di riso sulle fibbie, come omaggio alle sue radici nipponiche. L’origine del nome Havaianas invece è un tributo alle isole Hawaii e alla loro capacità di godere della vita.(…) Negli anni Novanta, l’infradito fu estrapolato dalla sua stereotipata condizione e contaminò non solo lo street style, ma anche feste hollywoodiane e contesti più formali”.

Ormai le grandi firme (le griffes) hanno sdoganato le ciabatte, smentendo l’uso ironico della parola nella lingua italiana, tipo - tratto da Treccani - “stimare quanto una ciabatta” e cioè non tenere in nessun conto una persona; “è una ciabatta”, ma qdi cosa vecchia e logora o anche di chi sia malandata in salute.