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23 ago 2024

La democrazia in calo nel mondo

di Luciano Caveri

Paese che vai con annessa cultura, tradizioni e istituzioni. Mi considero del tutto scevro da pensieri razzisti e xenofobi e cerco di evitare pregiudizi che derivino dalla mia chiave di lettura delle cose.

Dovunque sono stato nella mia esperienza di viaggi, ho cercato di documentarmi prima per arrivare relativamente pronto all’impatto con il posto prescelto.

Il rispetto per la cultura altrui è un caposaldo, ma non sono così ingenuo da credere che esista, come dovrebbe essere, la reciprocità, mentre questa dovrebbe appunto essere la condizione per la civile convivenza.

È triste constatare come sia proprio per le difficoltà di dialogo che le guerre prosperano, a dispetto di certa retorica pacifista che dipinge un mondo arcobaleno purtroppo smentito dagli odi ideologici e religiosi, oltreché naturalmente gli interessi economici, che lacerano intere zone della Terra.

Non si può negare che, nel visitare qualunque posto, si debbano anche valutare i regimi politici.

L’indicatore del gruppo Economist sulla democrazia per il 2023 registra, esaminando 165 Paesi. un calo globale e credo che nessuno se ne stupisca. Oltre la metà della popolazione mondiale vive o in paesi decisamente autoritari o in regimi che hanno aspetti autoritari marcati, concentrati in Africa e Medioriente.

Globalmente, il grado di democrazia è sceso di 0,6 punti in un anno – dal 5.29 a 5,23 – collocandosi al gradino più basso dal 2006.

L’anno scorso il paese con il punteggio più alto è risultato la Norvegia con 9,81 su 10, il massimo dei punti assegnabili; quello con il punteggio più basso è l’Afghanistan, con 0,26. L’Italia si colloca al 34° posto, nel gruppo delle democrazie imperfette, con una valutazione di 7,69, negativamente influenzata soprattutto da un punteggio basso nel funzionamento dello stato, giudicato pari a 6,79. Il nostro paese si colloca tra il Botswana, al 33° posto, e Capo Verde, al 35°.

Sarà un giudizio severo e con qualche pregiudizio, ma certo molti segnali in Italia non inducono, comunque sia, all’ottimismo. Penso al sistema parlamentare ormai ridotto al giogo del Governo e al regionalismo che vive un’epoca di attacco serio da parte di un centralismo romano che è evidente.

Ma dicevo della necessità di capire dove si va e lo applico ai tre Paesi che sto visitando. Cominciamo con il Sudafrica. Restano dei problemi, anche se l’epoca dell’apartheid è per fortuna distante: ci sono ancora differenze razziali, le scorie mai definitivamente smaltite dell’eredità del passato, l’iniqua distribuzione della proprietà terriera, con l’80% della ricchezza complessiva del Sudafrica ancora nelle mani del 10% della popolazione. Non è così che Mandela aveva immaginato il futuro della sua nazione e la leadership politica di chi ha preso il testimone ha subito un salutare scossone nelle recenti elezioni. Tuttavia, resta un Paese moderni e resta la democrazia: e non è poco. La libertà di votare, di scegliere a prescindere dal colore della pelle. Quanto in Africa è raro. Per curiosità nella classifica di Economist il Sudafrica giace fra le democrazie imperfette assieme a Botswana, Capo Verde, Namibia, Lesotho e Ghana.

Lo Zimbabwe - altro Paese interessante - dopo la rielezione del presidente Emmerson Mnangagwa resta nella lista negativa. Il Presidente sostituito Robert Mugabe dopo quarant’anni di «regno» o meglio di feroce dittatura è come fosse presente. Le regole non sono cambiate, anzi, nuova leggi liberticide sono state promulgate, e la «democrazia matura» - come spesso si definisce da sola -è sempre più un regime autoritario.

Sul terzo Paese, il Mozambico, sono segnalate - anche dalle valutazioni dei Paesi europei ai viaggiatori- forti tensioni sociali e problemi economici che pesano sul suo futuro. Nell’occasione non posso non citare un caro amico scomparso, Giuseppe Morosini, professore all’Università di Torino, valdostano nato a Senin di Saint-Christophe. con cui diedi due esami all’Università: "Storia dell’Africa" e "Sociologia dei Paesi in via di sviluppo". Era un personaggio singolare: valdostano e internazionalista. Ritrovava da noi molte delle sue radici, ma assieme c’era la scelta militante, specie in Angola ma anche in Mozambico, dove aveva applicato sul campo quella sua visione marxista che era stata la sua stella polare. Tuttavia, quando lo conobbi mi sembrava molto cauto e misurato in alcuni suoi giudizi, forse per gli insegnamenti di una vita in parte avventurosa.

Spiegava, con perizia e grande capacità di empatia a noi studenti cosa fosse stato il colonialismo con i suoi drammi e le sue ingiustizie, ma non faceva neppure sconti - essendo è stato scottato - ai fenomeni di liberazione nazionale sfociati in dittature o in forme mascherate di neocolonialismo con evidente continuità con il passato e grave complicità delle élites locali.

Lo faceva con crudo realismo per il troppo sangue versato e certa povertà devastante, ma anche con la speranza sempre viva di un riscatto da parte di popoli che considerava giustamente pieni di energia e spesso depositari di grandi ricchezze in risorse naturali.

Oggi, fosse vivo, scoprirebbe un forte espansionismo di russi e cinesi e forse ci direbbe di guardare ad una realtà importante per tutti: al crollo demografico in Europa e in tutto l’Occidente cui fa da contraltare una devastante crescita demografica in Africa. Talvolta basta fare uno più uno…