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04 set 2024

Gli interrogativi sul tunnel del Bianco

di Luciano Caveri

Seguo con curiosità e sulla base di conoscenze del tema, a differenza di alcuni che ne parlano, la situazione che si potrebbe definire congelata sul futuro del collegamento stradale attraverso il Monte Bianco. Sessant’anni fa, con il traforo del Gran San Bernardo, questa opera ciclopica per l’epoca consentì di andare, uno verso la Francia e uno verso la Svizzera, tutto l’anno senza i limiti stagionali e altimetrici dei Colli alpini.

Nato fra molte e accese polemiche tra chi lo voleva e chi non lo voleva, il tunnel del Bianco venne inaugurato nel 1965 e fu considerato per molti anni un fiore all’occhiello con i suoi 11,6 km di lunghezza. Doveva servire nelle previsioni per il traffico leggero, ma l’esplosione dei trasporti merci su strada ne fece un valico essenziale per il commercio europeo e ganglio vitale della Rete Transeuropea dei Trasporti.

A partire dall’inizio degli anni Settanta, con la nascita dell’Autoporto sino della caduta delle barriere doganali nel dicembre del 1992, questi TIR in transito, sdoganando in Valle d’Aosta, arricchivano le casse regionali. Quanto ormai da allora non avviene più con un crollo di fatto degli allora grandi vantaggi di questo meccanismo per la Valle d’Aosta. In parallelo, in quegli anni nasce il problema della saturazione di TIR sulle strade valdostane, specie lungo città di Aosta e lungo la superstrada verso il Monte Bianco.

Fra il 1988 e il 2007 viene realizzata e completata (con il no dei Verdi con lunghi contenzioni che si sarebbero dovuti far pagare loro) la nuova autostrada del Monte Bianco (RAV) e questo permise di decongestionare il traffico, ma nel frattempo già allora sî registrava un progressivo invecchiamento del traforo.

Nel 1999 si incrociano due eventi: a marzo un terribile incidente con rogo adentro il tunnel causò la morte di 39 persone e la chiusura per tre anni per i lavori di ripristino; alla fine dello stesso anno si avvia la privatizzazione delle autostrade sino ad allora pubbliche e il traforo finisce sotto la proprietà maggioritaria del Gruppo Benetton. Non credo che quest’ultima scelta abbia molto giovato. Oggi è tornata una maggioranza pubblica in mano a Cassa Depositi e Prestiti, ma non intravvedo cambiamenti sostanziali.

Negli anni successivi al ripristino si moltiplicano i lavori di manutenzione, ma matura nel frattempo la necessità di lavori più approfonditi, prima con chiusure notturne e dallo scorso anno con chiusure vere e proprie per mesi: quest’anno dal 2 settembre al 16 dicembre.

Il traforo verrà modernizzato con chiusure stagionali del genere, che dureranno per poco meno di vent’anni e alla fine - temo - ci troveremo con un tunnel monotubo comunque vecchio come concezione. Da molti anni si parla del raddoppio e spingono in tanti da tempo e lo fanno per varie ragioni, chi in buona e chi cattiva fede.

La mia posizione è nota e del tutto personale: fare una seconda canna parallela non risolverebbe i problemi. Sarebbero molti gli anni necessari per farlo ed è significativo il caso del Fréjus (leggermente più lungo del Bianco), il cui raddoppio iniziò nel 2010 e forse aprirà entro nel giugno di quest’anno, dunque ci sono voluti 14 anni. Aggiungi che la quota in cui venne realizzato il Bianco attuale non è più in linea con i tunnel di base a quote più basse.

Sarebbe bene ragionare su di un nuovo tunnel, magari con tecnologie più avanzate per il transito in galleria oppure distinguendo traffico pesante da quello automobilistico su due diversi tracciati.

Ovviamente non sono un tecnico ma sul tema mi sono confrontato con esperti e credo che qualche progetto simile, mai esplicitato, ci sia già in qualche cassetto. Resta, intanto, il NO cubitale dei francesi, che - secondo me sbagliando - dicono che se ne potrà parlare solo dopo l’apertura del nuovo traforo ferroviario e della relativa nuova ferrovia chiamata Torino-Lione, il cui orizzonte di apertura all’esercizio pare ormai fissato attorno al 2034.

Sul fronte italiano sul futuro del tunnel del Monte Bianco non si capisce se il Governo interloquisca con Parigi (i tunnel transfrontalieri si fanno in due e non da soli!) e il Ministro competente, Matteo Salvini, non si è mai visto in Valle d’Aosta per confrontarsi sulla situazione.

Resta sullo sfondo un tema serio. Lo spostamento delle merci dalla strada alla ferrovia per attraversare le Alpi ci sarà solo in piccola parte e i TIR continueranno a viaggiare e con tecnologie sempre meno inquinanti.

Tuttavia, il possibile raddoppio - anche se si scegliesse di farlo a fianco dell’attuale! - deve avere una garanzia di una legge che fissi dei limiti ragionevoli al transito in un corridoio come la Valle d’Aosta che, allo stato attuale, non ha grossi vantaggi economici dal passaggio dei camion. Limiti che potrebbero essere indispensabili per convincere la Vallée de l’Arve Oltralpe.

Il do ut des per un eventuale raddoppio starebbe nella garanzia di avere quote ragionevoli giornaliere, affinché - come qualcuno teme - non avvenga che una nuova infrastruttura comporti aumenti del traffico pesante non sopportabili in una Regione alpina.

Ho molto semplificato un dossier complesso, in cui conta anche l’Unione europea, i cui denari sarebbe importanti e la cui politica tende a evitare l’uso della strada a vantaggio della ferrovia e dunque bisogna spiegare bene la questione.

Quel che è certo è quanto sia ormai necessario decidere quale percorso intraprendere, perché il peggio sta proprio nel non decidere.