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01 ott 2024

Le troppe solitudini

di Luciano Caveri

Non sono del mestiere e forse neppure so chi sia a tutto tondo del mestiere. Immagino psicologi, psichiatri, sociologi, preti e tutti gli altri che ognuno di noi può ritenere come un punto di riferimento.

Noto, con grave dispiacere, come la solitudine sia un tratto ormai presente con forza nelle nostre società.

Ha scritto un autore croato Danijel Žeželj: “Innanzitutto credo che siamo tutti soli. Allontanandoci dalla nostra solitudine possiamo interagire con gli altri. Per quanto possiamo espandere la nostra prospettiva personale, la nostra esperienza, la nostra conoscenza, vediamo sempre il mondo con gli stessi due occhi, i nostri occhi. È insieme benedizione e maledizione, prigione e giungla. Tuttavia negli ultimi tempi ci completiamo solo con l'amore di e per qualcun altro, sebbene anche questa concezione stia mutando, evolvendo. Nulla rimane uguale per sempre e nulla è assoluto, tranne il cambiamento. Di modo che ci troviamo sempre in lotta per rimanere sulla superficie della corrente selvaggia, aggrappandoci alle rocce, affannandoci per respirare, ridendo e piangendo e sperando di raggiungere quel grande mare blu che è calmo e infinito... O forse no... Non lo so, non ci sono mai stato. Anche se lo sogno spesso”.

Il pensiero è poetico e ce ne sono tanti altri di autori che sulla solitudine hanno detto tutto e il suo contrario. Eppure oggi trovo che ci siano nuove solitudini su cui riflettere e che mi sembra tocchino i due opposti della vita, la giovinezza e la vecchiaia e certo l’isolamento all’epoca della pandemia non ha giovato.

Comincerei con la vecchiaia e con i grandi vecchi che allungano la loro vita sino all’estremo delle forze e verrebbe da dire che è bene e male. Bene perché se si pensa alla brevità delle vite del passato non si può non riflettere sul progresso straordinario che ha consentito – in realtà abbastanza di recente – di avere una prospettiva di vita più lunga. Se pensiamo che nel 1900, a livello mondiale, l'aspettativa di vita alla nascita di una persona era 32 anni; nel 2019, invece, siamo passati a 72,6 anni: oggi siamo a 73,3, mentre nel 2050 saremo a 78,1. Certo la media cambia a seconda dei Paesi, delle condizioni di vita, delle abitudini personali, ma il dato resta inoppugnabile. Eppure è altrettanto chiaro di come per le persone vieppiù anziane con famiglie a ranghi ridotti e con l’affievolirsi più si invecchia di legami sociali e di occasioni di socialità appare, come un’ombra inquietante, la solitudine, cui si risponde certo coltivando i rapporti, sentendosi utili, avendo lo stimolo di continuare a fare delle cose. Mi veniva da sorridere, giorni fa, quando ho ricevuto una lettera come anziano, che mi spiega – aiuto! – come coltivare i rapporti, magiare in apposita mensa, avere feste e qualche gita. Trovo che sia una bellissima idea, forse un pochino anzitempo, ma che giustamente mi è servita a pensare a quante solitudini ci siano.

E i giovani, specie adolescenti, stretti nella morsa di un digitale onnipresente? Non esiste più, per evidente crisi demografica e terribile apprensione protettiva genitoriale, il cortile in cui giocare sin da bambini. Quando si va a scuola, sembra cessato quel rapporto di interscambio che ci ha fatto crescere, creando le famose compagnie. Il telefonino, il tablet, i videogiochi sono trappole in cui i ragazzi cadono e i contatti sono vocali su Whatsap e lo scambio scritto sono filmatini e faccine. Ci sono gorghi, come TikTok dove vengono passate ore a scrollare lo schermo e ad avere informazioni che l’algoritmo dosa a seconda dei gusti. Sono rare le parentesi “umane” – penso allo sport come rimedio salutare – ma anche in certo stare assieme vedi i nuovi zombies chinati sullo schermo, senza parlarsi e magari scrivendosi anche quando sono a pochi metri di distanza. Si dirà e pure a ragione che noi stessi adulti siamo ormai come scimmie ammaestrate sui nostri apparati: verissimo e diseducativo. Ma noi – uso una giustificazione – abbiamo un pregresso, conosciamo chiavi di lettura, abbiamo delle protezioni e sappiamo coltivare (non tutti naturalmente!) quei rapporti fisici, arricchenti e anche dialettici con amici e altre persone. Abbiamo una specie di pellaccia che certo non esclude certe solitudini, ma in parte ne relativizza i rischi. WI giovanissimi no e non basta la moral suasion dei genitori, i rimbrotti degli insegnanti, i proibizionismi delle norme: quel mondo digitale può diventare assorbente.

Queste solitudini agli estremi mi preoccupano e creano in troppi casi disagi mentali, che vediamo esplodere in troppi casi di cronaca nera e mutano non solo noi, ma la logica dello stare insieme.