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21 ott 2024

Lo zaino delle esperienze

di Luciano Caveri

Leggo con divertimento una rubrica settimanale su Le Monde sulla quale, sotto forma di intervista, diverse personalità raccontano quale sia stato - specie nella propria giovinezza - un punto di svolta che ha poi influenzato, come uno spartiacque, il resto della vita.

Naturalmente sono esperienze volte in positivo, anche se naturalmente esiste il tema antico - che par essere un’alternativa al buonismo - se dal Male possa nascere il Bene e vengono in mente sul tema certi passaggi manzoniani, come la conversione dell’Innominato.

Se dovessi pensare alla mia svolta, che ha indirizzato gli anni confusi dell’adolescenza verso uno scopo, tocca tornare indietro di un po’ meno di cinquant’anni. Ero un ragazzotto e finii - grazie ad amici di Saint-Vincent - nella radio che un intraprendente Daniele Bernini aveva aperto nel suo hotel lungo il viale principale del paese.

Questa storia delle “radio libere” era fresca. Infatti nel1976 era arrivata sentenza della Corte Costituzionale (n. 202 del 28 luglio 1976), liberalizzò la trasmissione via etere in ambito locale, iniziando di fatto a spezzare il monopolio delle RAI. Fu lì che decisi di fare il giornalista radiotelevisivo e iniziai, sin da dopo la Maturità a salire faticosamente le scale per diventare giornalista professionista. Prima una radio a Torino, poi un televisione ad Aosta, infine - pensa il caso! - venni assunto e presto saranno 45 anni da allora proprio alla RAI come praticante.

Un lavoro che mi appassionava, un abito su misura rispetto alle mie ambizioni.

Poi nel 1987 una svolta inaspettata, che mi aprì una strada nuova: la politica con candidatura e seggio parlamentare e mai avrei pensato che sarebbe stato il mio secondo destino. Anche in questa circostanza agì una serie di combinazioni. Sin da allora, specie quando mi è capitato di andare nelle scuole o di parlare altrimenti ai giovani, ho sempre detto quanto sia necessario non mollare quando si inseguono le aspirazioni che sentiamo nostre.

Sembra retorica o peggio paternalismo, credo invece davvero che l’orientamento che ci viene indicato anche dalla scuola, spesso purtroppo senza centrare l’obiettivo, deve essere accompagnato da proprie scelte, avendo come logica quella di sapersi interrogare su come vediamo il futuro e dove vogliamo andare a finire. Ha scritto Paolo Coelho come antidoto contro un eccesso di tentennamenti: “Scegliere un cammino significa abbandonare gli altri. Se si vogliono percorrere tutti i cammini possibili si finisce per non percorrerne nessuno”.

Detto così sembra facile, ma non è così. Fra i nostri desideri da trasformare in previsioni esistono così tante variabili da creare difficoltà e frustrazioni. E contano molte le persone che incontri e la capacità di guardarsi intorno, qualunque cosa si faccia, sapendo che c’è sempre qualcuno più bravo di te da cui imparare.

Io stesso, in momenti di passaggio, sia nel giornalismo che in politica ho avuto momenti difficili, in cui mi pareva che molto fosse messo in discussione. Ma vale quel che ha detto la grande scrittrice Marguerite Yourcenar : «Quoi qu’il arrive, j’apprends. Je gagne à tous les coups».

Già, portiamo sulla schiena - e cresce di volume mano a mano che passano gli anni - uno zaino sulla schiena che è fatto dalle esperienze della vita vissuta con i suoi pro e i suoi contro. E può anche darsi che in fondo abbia ragione lo scrittore Alberto Moravia, quando diceva: “Le esperienze che contano sono spesso quelle che non avremmo mai voluto fare, non quelle che decidiamo noi di fare”.

Calcolo e caos si intrecciano lungo il cammino.