“Sei un manicheo!”, chissà che con un amico colto non ci siamo trovati ad essere così accusati nel corso di uno scambio di opinioni sfociato in polemica accesa.
Termine che viene dal nome di Mani profeta iranico del II secolo dopo Cristo, fondatore del Manicheismo. Spiega il sito “Una parola al giorno” “Parola bella, ma non facile.
Per il Manicheismo, religione sorta in seno all’Impero Sasanide - ultimo impero persiano prima della conquista islamica - si potevano distinguere due principi fondamentali: il bene e il male. Questi non si mescolavano in alcun modo, e le loro influenze erano nettamente divise: con un’immagine, potremmo dire che per i manichei il bianco e il nero non si fondevano, che il grigio era solo il risultato del loro stretto accostamento. È proprio quest’idea che caratterizzerà per sempre il manicheo, a connotarlo ancora oggi - ed è un peccato che le idee di pace di quei monaci mendicanti non abbiano attecchito altrettanto, nell’immaginario storico. Oggi parleremo allora di un piglio manicheo quando qualcuno durante una discussione taglia una certa questione con l’accetta a forza di dicotomie; parleremo di un giudizio manicheo davanti ad un giudizio nettissimo, sicuro, ma che forse grossolanamente tralascia una lunga serie di fattori; sarà manicheo chi vorrà tracciare un confine fra un “noi” e un “loro”, chi voglia qualificare come inconciliabili le differenze che possono esistere fra le persone”.
Una parentesi che risulta utile per inquadrare l’epoca riguarda Agostino di Ippona divenne manicheo nel 374, e fu "Uditore" prima di convertirsi al cristianesimo tra il 383 e il 387 e diventò il ben noto Sant’Agostino. Abbandonò poi il manicheismo, ritenendolo filosoficamente insostenibile, poiché, presupponendo uno scontro cosmico della divinità del Bene con quella del Male, esso mette in forse l'incorruttibilità di Dio. Capisco che è un’evocazione elevata, per cui ora si può tornare con i piedi per terra.
E si torna al manicheo che si riferisce al comportamento di chi si macchia ”di qualsiasi posizione rigorosa e dogmatica che ad atteggiamenti di drastica condanna ne contrapponga altri di esclusivistica esaltazione”.
Trovo l’atteggiamento quanto di peggio si possa immaginare. E ben sappiamo - lo dico in premessa - di quanto questi tempi siano terribilmente litigiosi e come ci sia una spiccata volontà di farsi del male e di creare reciproche barricate.
Tant’è che in politica ci si chiede sempre più come usare certi strumenti nella comunicazione politica, nel momento in cui strumenti come i comizi e le riunioni tipo sezione di partito sono diventate da amatori del genere. Ma appunto si incorre in logiche manichee e se dici bianco spopolerà chi dirà nero e viceversa in una sorta di lotta continua, che diventa tutto meno che un dialogo o un confronto.
Anzi, l’insulto, il dileggio, talvolta la violenza e comunque la negatività che diventa scontro, spesso condito da logiche e linguaggi guerreschi.
Questo muro contro muro che crea disagio e rende difficile l’esercizio del dialogo.
Diceva Norberto Bobbio: “La prima condizione perché il dialogo sia possibile è il rispetto reciproco, che implica il dovere di comprendere lealmente ciò che l’altro dice”.
Già dentro le logiche digitale è stato il rimpianto Zygmunt Bauman: “I nuovi rapporti vivono di un monologo e non di dialogo, che si creano e si cancellano con un clic del mouse, accolti come un momento di libertà rispetto a tutte le occasioni che offre la vita e il mondo. In realtà, tanta mancanza di impegno e la selezione delle persone come merci in un negozio è solo la ricetta per l’infelicità reciproca”.