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19 apr 2025

Il viaggio per avere occhi nuovi

di Luciano Caveri

Ho passato anni in cui le mie vacanze erano spesso ripetitive e rassicuranti.

Tanto da essere considerate molto spesso più come delle villeggiature o il ritorno in luoghi che avevo già testato. La routine può essere come la coperta di Linus, anche se fra i Peanuts il preferito era e resta il bracco Snoopy e la sua debordante follia, che pure restava sempre nel cerchio rassicurante della sua “banda".

Erano le mie compagnie avvolgenti, amicizie solide e arricchenti, percorsi di crescita che da bambino mi avevano visto diventare quasi adulto. Erano momenti in famiglia con cerchi concentrici di parenti che si sono ridotti via via sino a scomparire per il passare del tempo e - stento a scriverlo - per la morte delle persone care che sono volate via. Certo non ci sono più fisicamente ma sono rimaste parte di me e per sempre nell’orizzonte della mia vita.

Mi ha illuminato un passaggio del film “La porta accanto Pedro Aldomavar che racconta una storia drammatica e struggente fra Ingrid (Julianne Moore) e Martha (Tilda Swinton,) che sta morendo per un cancro terminale e dice all’amica che l’accompagna nell’ultimo viaggio verso la morte: “Non bisogna tornare nei posti dove sei stata felice”.

Non è una negazione di sé, delle proprie esperienze, ma proprio la paura di non trovare, com’è assai probabile, quanto rischierebbe di risultare irripetibili e dunque in qualche modo deludente.

Ecco perché bisogna trovare cose nuove, sapendo che nella tombola della nostra esistenza nessuno sa quanto tempo gli rimanga e anche quale sarà la qualità della sua vita. Per cui, anche se talvolta sono oggetto sfottò di qualche collega in politica che punta molto sul presenzialismo locale come chiave per i successi elettorali, mi sono ripromesso di scoprire nuovi luoghi e non solo in chiave geografica ma soprattutto umana.

Appurato che chi parla di razze umane è un cretino e che la Storia dimostra come possa pure di diventare un criminale, resta l’assoluta certezze di come le civiltà umane siano, invece, uno straordinario campionario di diversità culturali. Con la dote irripetibile in Natura di adattarsi ovunque sul globo e anche in territori e condizioni estreme.

Scriveva l’antropologo Claude Lévi-Strauss: “Il senso profondo del relativismo culturale non è che tutte le culture si equivalgano, ma che ciascuna è un universo coerente e significativo in sé.”

Gli fa eco il filosofo Edgard Morin: "La diversità delle culture è la linfa vitale dell’umanità. Senza questa varietà, il pensiero umano si impoverisce”.

Nel caso della Valle d’Aosta vale quanto dice lo scrittore triestino Claudio Magris, quando racconta del suo mondo mitteleuropeo: “L’identità è un ponte, non una fortezza. Una linea che unisce, non che divide”.

Il viaggio deve servire per conoscere e non dev’essere l’avventura caratteristica del passato, quando esistevano ancora lembi di territori e popolazioni da scoprire. Ma non significa neppure andare in posti senza ad avere un minimo per evitare di essere estraneo in soggiorni anodini mordi e fuggi.

Lo scrittore Bruce Chatwin annotava: “Il vero scopo del viaggio non è vedere nuovi luoghi, ma avere nuovi occhi”. Quando vai e torno hai certo acquisito visioni, pensieri e conoscenze, che non sono elementi neutri, che ti servono invece per crescere e per capire, vedendo anche le tue cose e persino te stesso in mondo diverso.

Lo scriveva il giornalista Tiziano Terzani, dando un senso positivo a questo esercizio: “Viaggiare serve a capire che ogni popolo ha le sue verità, e che non esiste una sola civiltà giusta, ma tante forme di vita degne”.

Un “volemose bene” che sembra non sempre corrispondere alla realtà. Conoscersi, tuttavia, sgombra il campo da molti pregiudizi.