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10 giu 2025

Dopo i referendum

di Luciano Caveri

Ho votato per i cinque referendum. Così era stato deciso dall’Union Valdôtaine, cui appartengo, con libertà di scelta sui cinque argomenti su cui ci si doveva esprimere. Sono dunque fra i cittadini che sono andati alle urne.

Preciso che l’ho fatto coscientemente, anche se – laddove ci sia un quorum – risulta del tutto legittimo non partecipare al voto. Chi mischia il diritto-dovere del voto nelle elezioni – per altro non più sanzionato dalla legge in caso non si vada a votare – prende un abbaglio, specie se in passato ha usato lo strumento del non voto per sabotare - come questa volta ha fatto il centrodestra - il risultato delle urne in altri referendum.

Ovvio che la questione avesse in questo caso un significato più politico che di tecnica legislativa e i promotori – in primis la CGIL – erano convinti che temi come il Lavoro e la Cittadinanza avrebbero scaldato il cuore. Ma, in particolare sul piano più politico, si pensava ad una spallata contro il Governo Meloni e non a caso alla vigilia delle urne è stata scelta una manifestazione di piazza su Gaza, che ovviamente aveva anche un retropensiero sul voto dell’indomani.

In Italia, dalla nascita della Repubblica nel 1946, ma bisogna aggiungere i cinque di ieri, si sono svolti diversi tipi di referendum a livello nazionale:

C’è stato un referendum istituzionale nel 1946, per scegliere tra Monarchia e Repubblica con vittoria, per fortuna, di questultima.

I referendum abrogativi, per modificare leggi in vigore, si sono espressi in 77 quesiti referendari, che richiedono il raggiungimento del quorum (la maggioranza degli aventi diritto al voto) per essere validi.

Vi è stato nel 1989 un referendum di indirizzo, a carattere consultivo, sull'Unione Europea.

Ci sono poi stati referendum su importanti riforme costituzionali con un voto favorevole nel 2001 sul regionalismo e due no, uno nel 2006 sulla riforma Berlusconi e l'altro nel 2016 sulla riforma Boschi-Renzi. Un altro voto a favore è venuto nel 2020 con la riduzione del numero dei parlamentari: una stupidaggine senza eguali non coordinata con leggi elettorali e regolamenti parlamentari.

Stupido fu il no ideologico al Nucleare, così come l’abrogazione della legge sul finanziamento ai partiti, mentre il Parlamento non tenne conto del referendum sulla responsabilità civile dei giudici.

A fine anni Novanta, inizio e fine anni Duemila ci furono referendum sul sistema elettorale, anch'essi alla fine non influenzarono più di tanto la materia in mano alle Camere, così come la mancanza del quorum bocciò negli anni successivi - sintomo di stanchezza nell'abuso da referendum - questioni riguardanti la Giustizia, la fecondazione assistita e l'estrazione di idrocarburi in mare.

Chi è federalista crede nei referendum, guardando anche all’esempio elvetico, ma certo quei meccanismi non sono esportabili in Italia. Dove, quantomeno andrebbero aumentate le firme necessarie che oggi son solo mezzo milione, e bisogna trovare modalità per porre i quesiti in modo chiaro e inequivocabile. Non mi pare, invece, ricevibile l’idea di abolire il quorum per i referendum abrogativi.

Ora, tornando ai referendum appena votati, si apre un tema politico serio, che riguarda il centrodestra e l’ovvio tentativo di far propri i voti degli astensionisti, mentre nel centrosinistra la stessa idea del “campo largo” torna all’attenzione ed è evidente che i riformisti del PD guardano con crescente sospetto l’accordo con i Cinque Stelle con la Sinistra più estrema.

Idem la discussione conseguente sul ruolo del Sindacato, che sembra arrancare quando entra in un campo squisitamente politico, che è legittimo, ma non sembra portare fortuna.

Infine, non si può constatare che i referendum sono stati un flop. Andrebbe fatto un disegno a Boccia, opinion maker della Schlein: entrambi avrebbero dovuto dire di essere dispiaciuti per la sconfitta.