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15 ago 2025

Il Ferragosto delle guide alpine

di Luciano Caveri

Alla fine il Ferragosto sulle Alpi, per una serie di combinazioni, è diventato la festa di una delle figure più simboliche della montagna: la guida alpina.

La parte storica è ben nota: piano piano, con l’avvento alla fine del Settecento di un turismo misto alla scienza che sceglie di scalare le vette, si sviluppa la figura professionale.

Solo nel 1821 la “Compagnie desguides” di Chamonix fa da battistrada con un’organizzazione stabile e viene seguita dalla valdostana Courmayeur nel 1850, quando i territori sono ancora entrambi sotto Casa Savoia.

La guida alpina nel tempo si evolve e diventa protagonista non solo sulle Alpi, ma con spedizioni in tutto il mondo. La progressiva professionalizzazione, che comprende ormai il Soccorso alpino come elemento importante, l’ho seguita di persona sia a Roma che a Bruxelles. Durante le celebrazioni (in Valle d’Aosta, giorni fa, si è festeggiato il cinquantenario dell’Unione guide valdostane) si parla poco degli aspetti giuridici, di cui mi sono occupato con la vigente legge-quadro e seguendo le norme comunitarie che hanno riguardato questo lavoro nell’intera Unione europea. Si è trattato, lo dico sommessamente, di un lavoro utile, che nel caso valdostano ha come fondamento lo Statuto speciale che già nel 1948 aveva inserito fra le competenze primarie della Regione autonoma sia le guide alpine che i maestri di sci.

Queste professioni, che ormai sono accomunate dalla festa ferragostana, sono la punta dell’iceberg di una vocazione naturale di noi valdostani, anche in politica. Non bisogna, infatti, occuparsi solo del nostro angolo delle Alpi, ma è giusto che le competenze e le conoscenze accumulate in diversi settori diventino a servizio di tutte le altre montagne al di là delle Alpi. E’ stata questa una parte del lavoro politico che ho svolto di cui sono fiero.

Si tratta per noi montanari, qualunque sia la nostra veste, di poter dire la nostra. Penso al dibattito sugli eccessi di presenze in alcune zone – come le Dolomiti – e le reazioni quasi isteriche di chi si sente titolare, non si sa bene perché della montagna. Sono troppi che pontificano su questioni politiche, amministrative, culturali che si esprimono quasi sempre senza tenere conto di chi la montagna la vive, la amministra e guarda alle prospettive future con progettualità importanti, senza avere bisogno di logiche colonialiste. Come se i montanari fossero bambini da prendere per mano o peggio orde di speculatori che non vedono l’ora di distruggere o imbrattare i luoghi dove vivono.

Giusto, quindi, il dibattito, perché nessuno ha l’esclusiva delle decisioni, ma attenzione a chi – penso a gran parte del mondo ambientalista – pensa ad una montagna pauperistica e elitaria, senza montanari fra i piedi nella logica demente di una Natura che escluda gli esseri umani, priva di infrastrutture di qualunque genere nella linea del pensiero di luoghi lasciati a chissà quale vita selvaggia.

Ci sono esperti vari o presunti tali che hanno come mantra una continua critica, un’evidente aggressività, una spocchia solipsistica che ha come logica la lotta continua (definizione infausta), il movimentismo complottista, la pratica ormai ricorrente dei comitati e comitatini che vivono di petizioni e denunce. Le minoranze chiassose non possono soverchiare maggioranze talvolta troppo silenti.

Il giorno della Festa delle Guide sia occasione per alzare la testa, per far sentire la propria voce, per riaffermare che chi ama la montagna vuole un suo sviluppo ragionevole, che gli eccessi “verdi” sono solo chiacchiere, che la montagna è aperta e non chiusa, che la presenza umana sulle Alpi è un valore indifferibile.