Il 25 aprile non sta mai fermo: come tutte le date simboliche finisce, a seconda del periodo in cui cade l'anniversario, per avere significativi diversi. Quel che ho notato è che l'oblio lento e inesorabile, che colpisce la celebrazione per lo spegnersi dei protagonisti per ovvie ragioni anagrafiche, si accompagna sempre più a distinguo grandi o piccoli sul fenomeno della Resistenza. Capiamoci: una santificazione della lotta partigiana, un tentativo dei comunisti di fare di un movimento plurimo una sola bandiera (quella rossa), l'incapacità di capire le ragioni degli "altri" e cioè di chi come i giovani di Salò restarono fascisti in mano ai nazisti hanno creato delle crepe in cui chi non ha mai digerito i valori comuni dell'antifascismo si è infilato con destrezza nel nome di quel nuovo slogan che è la "pacificazione", che è poi per alcuni solo un violento revisionismo storico. Allora, almeno in Valle d'Aosta, dove la Resistenza c'è stata e con caratteristiche assolutamente peculiari, con i suoi molti chiari e qualche scuro, sarebbe bene ricordare che senza l'antifascismo, compreso quello preresistenziale, la Regione autonoma non sarebbe mai nata e non oso pensare che cosa sarebbe stata oggi la nostra Valle se la storia avesse preso una strada diversa. Ecco perché nel mio cuore oggi penso al 25 aprile e ai familiari e agli amici che la Resistenza l'hanno fatta e non ci sono più qui con me, fisicamente, ma ci sono per quello che mi hanno insegnato, compreso l'orrore per l'ipocrisia di alcuni che oggi si esibiranno nelle piazze con affermazioni zuccherose e vibranti, mentre poi nella loro vita e nella loro azione politica fanno esattamente il contrario.