Quando giri per il mondo, scopri quanto sia ingenuo l'atteggiamento eurocentrico che spesso, in buona o cattiva fede, assumiamo. Specie quando ci si trova di fronte a Paesi e popoli rispetto ai quali gli europei hanno conti da saldare. È il caso dallo Yucatàn, da dove scrivo, uno dei centri della cultura maya e dove vive, come in altre zone del Centro America, uno dei famosi popoli vittime dei conquistadores, ma certo il più combattivo, visto che è ancora ben presente con la sua lingua e le sue tradizioni. Lo sanno bene in Messico, che annesse queste zone caraibiche solo dopo guerre secolari contro le spinte indipendentiste, che restano nel cuore di queste popolazioni, che si sentono dei maya e non dei messicani. E proprio dei maya si è molto parlato, a sproposito, rispetto a quella interpretazione ridicola, perché fatta solo per fare sensazione con calcoli assurdi, quando si parlò di una loro profezia, che prevedeva la fine del mondo il 21 dicembre del 2012. In molti arrivarono in queste zone per compartecipare in un luogo sacro alla fine imminente e, come ben sapeva chi aveva letto degli svarioni interpretativi dei calendari maya, se ne sono tornati a casa con le pive nel sacco. I maya attuali se la ridevano. Certo visitare le vestigia più antiche, quelle nell'interno, già abbandonate quando arrivarono gli spagnoli, crea un'enorme curiosità attorno agli sforzi degli archeologi di capire le logiche sottili che riguardano monumenti come i famosi templi, le strade che li collegano o gli enormi disegni nel deserto che qualcuno - ricordo i libri di Peter Kolosimo - pensava ingenuamente fossero il segno di civiltà extraterrestri. La guida che ci ha accompagnati in queste visite ha ben spiegato come si stia progredendo nelle scoperte e come nella giungla ci siano certamente luoghi dove verranno prima o poi scoperti documenti nuovi - specie i manoscritti, visto che gran parte dei documenti cartacei trovati vennero bruciati ai tempi dell'Inquisizione - e questo consentirà di capire meglio la vita dei maya o meglio del sovrapporsi di diverse etnie di ceppi simili a partire dal 1500 a.C. . Intanto l'irruzione del turismo di massa (Cancun era un villaggio di poche migliaia di persone, oggi è una città che conta un milione di abitanti e molti hanno lasciato i villaggi dell'interno) pone il problema di una cultura che cambia e che in parte si perde e di popolazioni che chiedono, giustamente diritti e dignità: «Non siamo un mito del passato, rovine nella giungla o negli zoo. Siamo persone e vogliamo essere rispettate, non essere vittime dell'intolleranza e del razzismo». Così ha scritto la più famosa dei maya, la guatemalteca Rigoberta Menchú (che venne ad Aosta con l'entusiasmo del mio rimpianto collega "Rai" Gianni Bertone, convinto terzomondista), "premio Nobel per la pace" nel 1992 per il lavoro in favore delle popolazioni indigene.