Quando ero bambino, forse per la morte del padre di una mia compagna di classe e anche per aver sentito parlare in casa di un piccolo problema cardiaco di mio papà, per un certo periodo avevo vissuto con la paura che lui, d'improvviso, morisse. Ci pensavo la notte e scrutavo di giorno dei segni che, in qualche modo, indicassero i presagi di qualche tragedia imminente. Poi mi passò e lui è morto ad un'età veneranda. Sarà anche per questo ricordo d'infanzia, ma anche per il racconto commovente e affettuoso, che mi ha colpito un libro che racconta della morte di un papà. Si intitola "Mio padre è stato anche Beppe Viola" di Marina Viola: padre e figlia, che compaiono nella foto di copertina, inquadrata non a caso da una televisione. Ai giovani sfuggirà chi sia stato questo Beppe Viola: era dal 1961 un giornalista sportivo della "Rai" di Milano, che morì per un ictus nel 1982 - io lavoravo in "Rai" già da due anni, ma non lo conobbi mai di persona - a soli 42 anni. Era un innovatore, che usava la televisione con leggerezza e ironia: il suo carattere bizzarro era certo visto con sospetto nella "Rai" parruccona e romanocentrica (Viola era milanese, ma di origine campana). Non a caso Viola era amico d'infanzia e di quartiere di Enzo Jannacci (cui toccherà il triste destino di spegnere la macchina cui Viola, agonizzante, era attaccato) e scrisse per lui le parole surreali e divertenti della canzone "Quelli che...". Ma era amico di Cochi e Renato, stralunata coppia del "nonsense", che da ragazzino seguivo con immenso divertimento, ricopiandone nel gergo giovanile i tic linguistici. Naturalmente il libro ricostruisce la vita di Beppe Viola, della sua famiglia e dei rami parentali, ricordando come questi Viola avessero nel "dna" la passione per il gioco, in particolare ippodromi e cavalli. Così come tratta con grande garbo le vicende familiari, compresa la "fuga" del papà con un'altra donna. Quel che più colpisce è proprio il gioco di specchi che si crea, nel rapporto padre e figlia, nel racconto di quest'ultima, a nome anche delle tre sorelle. È una circostanza rara, quella di aver qualcuno che smonti questi meccanismi, che in genere restano inespressi. Anche se qualunque padre passa il tempo a chiedersi che cosa, nel proprio intimo, pensino di sé i propri figli. Marina, che quando il papà morì aveva solo quattordici anni, lo fa con una ricostruzione, che è in fondo un dialogo che attraversa il tempo con l'immagine paterna e quanto rimasto in sospeso in un rapporto finito prematuramente. Le pagine esprimono un infinito amore per quel padre, il cui ricordo, con il passare degli anni, sarebbe stato destinato ad affievolirsi e che, invece, oggi è stato imprigionato nella magia di un libro.