Quando mi capita, com'è avvenuto in questi giorni, di stare in un "Club Med", ti rendi conto, se mai ce ne fosse stato bisogno, di come la fidelizzazione della clientela attorno ad un marchio sia un caposaldo del turismo. Il marchio garantisce uno standard di prestazione rassicurante. Si sa che i grandi gruppi, come possono essere le catene alberghiere, tipo le diverse sigle del "Gruppo Accor" o anche formule di associazione genere "Best Western" o "Relais&Chateaux", funzionano proprio con questo meccanismo. Uno sa, a seconda delle proprie esigente, che un "Sofitel" dà una certa garanzia, mentre da un "Novotel" o un "Mercure" ci si deve aspettare altro, così come chi ha ottenuto un certo marchio deve sottostare a determinati criteri standard di qualità e questo rassicura il cliente. Specie in un'Italia, ma alla fine vale anche in Europa, dove il sistema di classificazione con le stelle è ormai obsoleto e non offre alcuna garanzia di corrispondenza con la realtà. Sono finito in vita mia in cinque stelle che erano alberghi indegni o in tre stelle superiori ad ogni aspettativa. C'è chi ha scritto e spiegato queste cose meglio di quanto io abbia fatto in questa rapida premessa, ma certo quel che conta è, in una realtà come la Valle d'Aosta, riflettere su questi temi. L'albergo, senza nulla togliere ad altre forme d'accoglienza, resta il caposaldo del turismo. Specie se - lo dico con dispiacere - sono di fatto naufragati tutti i tentativi fatti di movimentare le seconde case. Chi si illude di trovare premialità fiscali o di qualunque genere per evitare che siano "letti freddi", come si dice in gergo per lo scarso utilizzo, rispetto ai "letti caldi" alberghieri, si tolga le illusioni. So che altrove è stato fatto, ma chi possiede una seconda casa in Valle d'Aosta non sembra reagire bene alla possibilità di utilizzo periodico della sua proprietà in montagna. Così gli alberghi restano fondamentali e la legislazione regionale vantaggiosa per costruzioni e ristrutturazioni - oggi nel vortice dei "tagli" - ha funzionato a singhiozzo fra storie di successo e fallimenti. Il blocco del pagamento dei mutui ha per ora, tra l'altro, congelato situazioni difficili, che prima o poi verranno al pettine. Taccio, per carità di patria, sulle scelte progettuali e imprenditoriali del "Resort & Casinò" e evito di fare l'uccellaccio del malaugurio. Temo non ce ne sia bisogno. Fra le storie di successo ci sono gestioni familiari che in modo accorto si sono legate a marchi internazionali, ma mancano invece investimenti diretti di grandi gruppi alberghieri di chiara fama, che non investono in Valle d'Aosta. Perché siamo così scarsamente attrattivi? Come mai località importanti, ma anche stazioni minori, non vedono investitori che si presentino da noi? Non so bene perché e qualche approccio, quando mi occupavo di turismo in Regione, l'avevo avuto, agendo con prudenza perché parte del mondo alberghiero valdostano vede con sospetto l'eventuale arrivo di competitor di peso. Mentre molte esperienze alpine dimostrano che certe firme agiscono da traino per tutto il sistema. L'impressione è che, alla fine, la mancanza di interesse sia nella scarsa redditività dell'investimento e, per chi agisce sul mercato internazionale, anche il "rischio Italia", che rende lente le decisioni amministrative e pieni di incognite aspetti decisivi come fiscalità e costo del lavoro. Noi di nostro ci mettiamo del nostro con piani regolatori comunali macchinosi e incomprensibili nei tomi di accompagnamento. Eppure per la piccola Valle d'Aosta avere qualche investimento in più sarebbe importante.