Se un anno fa, quando l'epidemia iniziava a mostrarsi in tutta la sua drammaticità, mi avessero chiesto che cosa ci sarebbe stato un anno dopo, allora avrei risposto con un certo ottimismo, pensando ad una Pasqua diversa, non più blindata. Certo, era un sentimento di speranza venato da mille paure causate dal virus e dal suo incidere in profondità sulle abitudini e soprattutto sui propri spazi di movimento. A maggior ragione questo è stato il mio pensiero, quando hanno cominciato a dispiegarsi i primi vaccini e pareva che l'andamento iniziasse a farci vedere, in barba ai menagrami, una via d'uscita. Ora mi sento meno sicuro di tutto questo e mi sono rassegnato a navigare a vista fra slanci positivi e passi indietro depressivi. Per non dire del mantra «ancora un ultimo sforzo» dei decisori sanitari nazionali che logorerebbe anche il più pacioso fra noi.
Ed attorno a me, anche nell'impegno quotidiano, vedo situazioni molto difficili da risolvere nell'immediato e prospettive scure se non si uscirà in fretta dalla situazione attuale. Eppure, anche guardando al quadro europeo, non si capisce bene dove si stia andando a parare fra alti e bassi con momenti di contentezza cui seguono batoste come le impennate improvvise, che si abbattono davvero come ondate su certe illusioni di rapida uscita. Avanzare a tentoni, in attesa di capire scenari mutevoli, è assai negativo. Le certezze svaporano ed ogni angolo porta ad un altro angolo e non purtroppo ad una visione che ci sia qualche certezza attraverso un obiettivo calcolabile da raggiungere. Ed invece questi calcoli saltano con facilità, per quanto i virologi siano quasi tutti pavoni che fanno la ruota con successive cantonate periodiche. Anche il peggio ha lati positivi e non lo dico a titolo consolatorio o per confermare il detto stupido «mal comune, mezzo gaudio». L'emergenza, come sempre, ha messo in campo energie ed idee e questo è un bene. Altrettanto confortante è il fatto che certe stratificazioni ed abitudini risultino destinate a mutare, come un cambio di pelle. Aggiungerei che il male relativizza le cose e ci permette di vedere con distacco quelli che prima di quelli attuali ci sembravano problemi seri e non lo erano affatto. Poi esiste un'osservazione al contrario. Abbiamo scoperto un mucchio di piccole e grandi cose che davamo per scontate: muoversi, incontrarsi, viaggiare, parlare e tutte le altre attività umane che oggi ci mancano e la cui nostalgia ci aggiusta rispetto al rischio di essere pretenziosi o la stupidaggine di non afferrare le cose ed i momenti belli. Le libertà vanno considerate cose care, senza pensare che siano acquisite per sempre. Basta poco per perdere quanto ritenevamo scontato e persino dovuto. Da soli, non che non lo sapessi, non si va da nessuna parte. Parole come "solidarietà" e "fraternità" sono spesso grondanti retorica, però questa volta sono emerse nella loro totale realtà fatta di impegno e concretezza. Certo la stanchezza sopravviene e diventa anch'essa, come il virus, contagiosa e percorre tutti a turno. D'altronde non ci si può e non ci deve mai abituare a stare male e gli stati di crisi sono tali: scuotono, sollecitano, obbligano a riprogrammare ed anche a fare un esame di coscienza.