Nella mia visione politica, da federalista, l’etnismo, inteso come esaltazione del proprio gruppo etnico a detrimento degli altri, non mi è mai appartenuto. Questa posizione sarebbe del tutto contraddittorio con la sovrapposizione di popolazioni nel tempo che, con la presenza più antica e più recente, hanno forgiato i Valdostani di oggi. La fierezza di far parte di una comunità è largamente condivisa, spesso anche dagli ultimi arrivati. Chi non si vuole riconoscere e sceglie di essere "apolide" fra di noi ha piena libertà di farlo, ma questo non vuol dire intaccare quella preponderante maggioranza che si sente valdostano per origine, per adozione e direi per scelta. Questa appartenenza, specie per chi crede nel federalismo, non è mai contro qualcuno e lo ridico a chiare lettere. Giorgio Gaber lo cantava in una sua canzone proprio sull'appartenenza: «L'appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme. Non è il conforto di un normale voler bene. L'appartenenza è avere gli altri dentro di sé». Mi era capitato tanti anni fa di citare la parola tedesca "Heimat". Il senso di «casa» – Heim – contenuto dal termine indica il legame tra l’individuo e il luogo – inteso come paesaggio e cultura – in cui è nato e cresciuto. Termine caro ai sudtirolesi ed ai popoli germanici (Il tedesco Herbert Grönemeyer canta: “Heimat non è un luogo, Heimat è una sensazione”) e mi sono chiesto se e come possa esistere un termine simile, legato al cuore dei valdostani e a quel legame così intenso con queste nostre montagne e all'insieme della cultura alpina che qui si esprime. Io penso che per noi l’equivalente sia “Valle”, antica parola, che sarebbe ”forma concava del suolo fra due opposti pendii", dal latino "vallis" e, nel caso nostro, "Vallis Augustanæ”. Ci pensavo leggendo alcuni passaggi politici tratti dal recente discorso del Presidente Sergio Mattarella alla cerimonia in occasione del 150° anniversario della morte di Alessandro Manzoni, riportabili a certe uscite di Ministri del Governo Meloni (su etnia e dintorni spicca il cognato della Premier,Francesco Lollobrigida). Matterella dixit: “Abbiamo appena ascoltato, con una lettura particolarmente intensa – che qui la ringraziamo tutti - da parte Eleonora Giovanardi, l’episodio dell’incontro a quattr’occhi di fra’ Cristoforo con don Rodrigo. Sono eccezionali, in quel momento e in quel passaggio del romanzo, il gioco degli sguardi, quasi cinematografico, il movimento scenico, il dialogo drammatico, che si intreccia tra i rappresentanti di due concezioni del mondo così diverse: l’umiltà, la sete di giustizia, l’umanità da un lato; l’arroganza, la protervia, la prepotenza dall’altro. Nello sterminato territorio che separa l’universo valoriale di fra’ Cristoforo da quello, turpe, di don Rodrigo si muove - sembra dirci Manzoni - la storia, cammino dolente ma inarrestabile dell’umanità verso il futuro. Genti e popoli in marcia, con le loro speranze, i loro progressi, le loro miserie, le loro cadute. Un percorso che - come è stato ricordato poc’anzi - Manzoni affida nelle mani della Divina Provvidenza. Ma che è quanto di più lontano da un rassegnato fatalismo, perché gli uomini, mediante la loro forza e le loro debolezze, sono e restano i costruttori del proprio presente e del proprio avvenire”. Saranno fischiate le orecchie alla Meloni in questo passaggio: “A proposito del Romanticismo e del Risorgimento italiano si cita spesso la triade Dio, Patria, Famiglia, quasi in contrapposizione alla triade della Rivoluzione Francese, Libertà, Eguaglianza, Fraternità. È una cesura eccessivamente schematica. Il romantico e cattolico Manzoni, in verità, non rinnega i valori della Rivoluzione Francese, anzi, li approva e li condivide, insistendo soprattutto sul quello più trascurato, la fraternità. La Rivoluzione Francese, secondo Manzoni, aveva tradito questi valori, perché, con il giacobinismo, si era trasformata nell’ideologia del Terrore e della violenza. Nulla, per l’autore dei Promessi Sposi, è più nefasto delle teorie politiche astratte che immolano sull’altare della ragion di Stato i diritti di uomini o di intere popolazioni. Nulla, per lui, è più sacro della vita umana. La verità deve prevalere sulla menzogna, la tolleranza sull’odio, la pietà sulla violenza, la morale sul calcolo di convenienza”. E a Lollobrigida in questo passaggio su Manzoni: “Ma - nella sua visione - è la persona, in quanto figlia di Dio, e non la stirpe, l’appartenenza a un gruppo etnico o a una comunità nazionale, a essere destinataria di diritti universali, di tutela e protezione. È l’uomo in quanto tale, non solo in quanto appartenente a una nazione, in quanto cittadino, a essere portatore di dignità e di diritti”. E ancora: “Nell’idea manzoniana di libertà, giustizia, eguaglianza, solidarietà si può scorgere una anticipazione della visione di fondo della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo del 1948. Una carta fondamentale, nata dopo gli orrori della Seconda Guerra mondiale, che individua la persona umana in sé, senza alcuna differenza, come soggetto portatore di diritti, sbarrando così la strada a nefaste concezioni di supremazia basate sulla razza, sull’appartenenza, e, in definitiva, sulla sopraffazione, sulla persecuzione, sulla prevalenza del più forte. Concetti e assunti che – come ben sappiamo - sono espressamente posti alla base della nostra Costituzione repubblicana. Dai diritti dell’uomo la concezione manzoniana si allarga a quella del diritto internazionale e dei rapporti tra gli Stati, dove si ritrova una critica lucida e serrata al nazionalismo esasperato. Perché la moralità, la fraternità e la giustizia devono prevalere sugli odi, sugli egoismi, sulle inutili e controproducenti rivalità”. Per concludere sulle derive populiste: “Sono state scritte pagine illuminanti sulla sua vicinanza, sull’empatia, sulla condivisione nei confronti delle masse popolari, che per la prima volta diventano protagoniste di un romanzo. Utilizzando una terminologia moderna, di oggi, possiamo parlare di un Manzoni certamente “popolare”, ma non “populista”. Il legame controverso che Manzoni stabilisce tra potere e opinione pubblica, tra giustizia e sentimenti diffusi, ci induce a riflettere - sia pure in tempi incommensurabilmente distanti - sui pericoli che oggi corrono le società democratiche di fronte alla diffusione del distorto e aggressivo uso dei social media, dell’accentramento dei mezzi di comunicazione nelle mani di pochi, della disinformazione organizzata e dei tentativi di sistematica manipolazione della realtà. E, anche, sulla tendenza, registrabile in tutto il mondo, di classi dirigenti di assecondare la propria base elettorale o di consenso e i suoi mutevoli umori, registrati di giorno in giorno tramite i sondaggi, piuttosto che dedicarsi a costruire politiche di ampio respiro, capaci di resistere agli anni e di definire, in tal modo, il futuro. Già nei Promessi Sposi, nei capitoli dedicati alla peste, Manzoni scriveva icasticamente a proposito di questi rischi: “Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”. La “Storia della Colonna infame” - un capolavoro di letteratura civile, compreso e rivalutato soltanto a partire dal secolo scorso - ci ammonisce di quanto siano perniciosi gli umori delle folle anonime, i pregiudizi, gli stereotipi; e di quali rischi si corrano quando i detentori del potere - politico, legislativo, giudiziario - si adoperino per compiacerli a ogni costo, cercando soltanto un consenso effimero. Un combinato micidiale, che invece di produrre giustizia, ordine e prosperità - che è il compito precipuo di chi è chiamato a dirigere - produce tragedie, lutti e rovine”. Difficile dire meglio.