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03 mar 2024

Lo sconcerto di Giuliano Ferrara

di Luciano Caveri

Giuliano Ferrara è personalità debordante e lo dico non per fare spiritosi e inopportuni riferimenti da body shaming, ma per ricordare un uomo di grande spessore culturale, che ha vagato in diverse famiglie politiche e spesso con posizioni ben diverse dalle mie. Ma mai si potrà negare l’acume e l’originalità dei suoi ragionamenti. Condivido con lui alcune preoccupazioni, che esprime meglio di quanto io possa fare.

Così scrive: “Leggere le cronache di piazza di questi giorni porta a un sentimento di vera incredulità. A parte la mancanza di fantasia civile e personale, il monotono ripetersi dell'identica kefiah, dello stesso assemblaggio di parole d'ordine di sempre, del vittimismo, del portamento da esclusi, e a parte la totale e programmata ignoranza delle circostanze, delle concatenazioni di causa e effetto, delle vere responsabilità nella tragedia dei civili a Gaza, a parte l'irrompere confuso del miscuglio ideologico woke e dei criteri di condotta woke nella fenomenologia anticoloniale delle masse in lotta contro il famoso genocidio, fa impressione nelle manifestazioni propalestinesi l'automatismo, quello che queste manifestazioni escludono dal loro orizzonte, l'impossibilità di una generazione pro Ucraina e pro Israele”.

Ecco il passaggio sull’Ucraina di Ferrara, nato - giusto ricordarlo - da famiglia ebraica e con un papà che fu anche corrispondente da Mosca per l’Unità: ”Da due anni e più agisce l'esempio di un popolo attaccato, falcidiato, massacrato, vilipeso e minacciato da un autocrate che parte da posizioni di forza, che minaccia la pace mondiale con l'arma della chiacchiera nucleare, che reprime ogni manifestazione di dissenso fino all'assassinio in carcere, e si impone da quei pulpiti con gli stucchi bianchi e le aquile imperiali posticce, propone quelle platee dell'assenso autoritario e quegli stadi da adunata fascista, avvelena la storia e la cultura russa in un pasticcio indigeribile di violenza e di provocazione. E quel popolo resiste come può, contrattacca, si difende, vince e perde, ottiene e non ottiene gli aiuti necessari per sottrarsi agli artigli dell'orso, ma questa verità non fa simbolo, attraversa appena i parlamenti occidentali per una breve stagione zelenskiana, riguarda parte delle classi dirigenti, nella società sollecita un orgoglio di minoranza che non buca lo schermo, che non deborda nelle piazze, che non si ammassa nella solidarietà politica e umana. Non si sono viste le strade pullulanti e le piazze e i comizi e le adunate giovanili e le occupazioni delle scuole contro la minaccia della guerra in Europa e il suo effettivo dispiegamento”.

E poi Istraele, che ormai è sempre solo per certi cortei messa al bando, in certi casi con esaltazione di Hamas, che ha di fatto imprigionato i palestinesi in una terribile trappola: ”Così il 7 ottobre è scomparso dopo la visione dei video girati dagli stessi assassini e stupratori di Hamas, cancellato dall'algoritmo dei bombardamenti, dell'azione di terra contro il nemico, per sradicarlo e abbatterlo a garanzia della propria esistenza, impresa terribile che si svolge già sotto la minaccia da sette fronti diversi, nell'isolamento costitutivo di una indipendenza da difendere anche contro il nucleare imminente degli Ayatollah e dei loro eserciti di prossimità. Esaurito il dossier dello spavento per la atrocità di un pogrom, ecco che segue il vuoto mentale e emotivo coperto dall'evidenza dell'umanitarismo e perfino dai segni dell'antisionismo e dell'antisemitismo: come non ci sarà una generazione ucraina non ci sarà una generazione israeliana nel mondo occidentale, che resta sempre legato, nell'esperienza primaria dei giovani di Pisa, di Firenze, di Bologna, di Roma, di Milano e anche di Londra, di Parigi, dei campus americani, ai colori sbagliati di una bandiera sbagliata, perfino sanguinaria”.

Duro, durissimo, ma racconta uno sconcerto condiviso.