L’altro giorno, in seguito ad una riflessione di Fulvio Centoz, già Sindaco di Aosta, sulla possibilità di aprire al voto elettronico, tenuto conto dei ritardi dei risultati sulle elezioni sarde, ho scritto questo pensiero su X: ”Visto che si parla di sperimentazione del voto elettronico in Valle d’Aosta, ricordo che lo si fece con ottimi risultati alle comunali di Arnad e La Salle. Ora la tecnologia si è evoluta e non ci sarebbero scuse per non scegliere questa modalità dì voto”.
Per altro devo dire che, nel cuore dei ritardi fantozziani dell’arrivo dei dati delle stesse regionali, avevo già scritto qualche giorno prima sullo stesso Social: ”Viviamo nel mondo digitale e ci sono paranoie e complottismi sul voto elettronico. Così capita quel che sta avvenendo in Sardegna. Siamo fermi a scheda cartacea e matita copiativa! ». Nessuno su questo primo post aveva reagito, mentre sull’altro che ho pubblicato sono stato investito da una pioggia di critiche da esperti del settore informatico e digitale, che certo ne sanno più di me. Le accuse in due punti riassuntivi: a) non capisco un tubo dei terribili pericoli con fine dell’anonimato e grandi manipolazioni del voto; b) essendo politico, laureato in Scienze Politiche, non ho diritto di parola su temi specialistici. Premesso che mi arrendo e che certi filmati proposti per acculturarmi sono stati utili, esprimo egualmente un ultimo desiderio prima del plotone di esecuzione. E quel che resta è una questione di fondo. C’è chi mi ha detto con onestà e garbo che gli esperti non hanno ancora trovato un modo che garantisca un voto "personale ed eguale, libero e segreto” (articolo 48 della Costituzione).
Se così è, siamo di fronte ad una vera sconfitta che apre altri fronti, pensando che ormai - con l’esposizione pubblica che abbiamo con le mille diavolerie come apparati - è facile sapere vita, morte e miracoli anche in settori cruciali della mia esistenza e pure della mia posizione politica, che trasforma la scheda elettorale in una foglia di fico.
Viviamo, infatti, in un mondo nel quale il digitale è il nostro pane quotidiano e sappiamo bene che è pieno di pericoli e tranelli per noi, per i nostri dati, per i nostri averi e per la nostra identità. Eppure ci viviamo dentro e per difenderci spendiamo miliardi anche con il PNRR per la cybersicurezza. Il diritto di voto è - come detto - un diritto costituzionale e, in epoca di astensionismo galoppante, sarebbe bene che si modernizzassero i sistemi di voto con le tecnologie adatte e vale anche per il fatto che avere i risultati certi e in tempo utile è un valore.
Il voto nell’urna con il suffragio universale risale in Italia al 1946 con schede cartacee e la famosa matita copiativa, una speciale matita il cui segno è indelebile. A quasi 80 anni da allora - con la scoperta per altro che i brogli ci sono anche con questi metodi tradizionali… - siamo fermi lì e non mi sembra normale, visto che facciamo ogni giorno decine di operazioni, anche impegnative, con la nostra identità digitale sotto varie forme.
Ma il voto no! Appena si tocca l’argomento si dice che non si può e che che ogni soluzione attuale risulterebbe incostituzionale e c’è chi aggiunge anche qualche insulto, tipo che queste mie osservazioni mi stroncheranno la carriera politica.
Ma in modo sommesso e umile chiedo se al posto di dire solo no e spaventare noi legislatori (in Valle d’Aosta sia le elezioni regionali che le comunali sono materie in capo al nostro Consiglio regionali) non sia allora il caso di perseguire coloro che propongono sistemi che sarebbero insicuri e ammonire i Paesi che già usano sistemi di voto digitali?
Perché non posso pensare che non ci siano o ci saranno (spero a breve) soluzioni affidabili - se non ora quando? - che ci diano tranquillità su panne possibili, infiltrazioni malevoli, eventuali manomissioni, rischio di individuazione di chi vota con nome e cognome e altre altre negatività. Perché se l’insicurezza fosse un allarme rosso, allora chiudiamo tutta una serie di servizi digitali per analogia e scelta responsabile.
Spero che gli esperti - che mi paiono rassegnasti all’impossibilità - si muovano per dare soluzioni utili per sciogliere questo nodo attraverso un e-voting che rispetti i parametri costituzionali.
Sennò saremo destinati sine die ad adoperare ancor oggi strumenti artigianali simili al famoso ostracismo e cioè all’esilio delle persone dall’antica Atene attraverso un voto non palese. La parola - come ricorda Wikipedia - viene da ὀστρακισμός, che a sua volta deriva dal termine ὄστρακον (òstrakon), che significa "coccio di vaso di terracotta" o "conchiglia". In un mondo in cui il papiro scarseggiava, poiché era un prodotto importato dall'Egitto, le bozze, gli appunti e appunto le votazioni venivano eseguite su frammenti di vasellame.
Mi pare, ripetendo il mio post con candore da pane e salame, che ci siamo nel tempo tecnologicamente evoluti rispetto al coccio e alla carta. Dunque che si cerchi una strada e mi pare che, vista la domanda, chiunque avrebbe il vantaggio di elaborare un’offerta. Sarebbero soldoni.