Ci sono persone che incidono nella tua vita e che se vanno ad età avanzata in punta di piedi. Renato Barbagallo, classe 1932, siciliano fiero di esserlo, nato a Giarre e valdostano d’adozione, è stato un amico e una persona che mi ha insegnato molte cose.
Arrivò in Valle d’Aosta portato da César Dujany, che aveva bisogno di un Segretario generale, quand’era Presidente. Poi familiarizzò con i suoi successori nella logica, fatemi dire normanna, del civil servant.
Si deve a lui, chiamato “il Barbagallo”, la pubblicazione principale sull’ordinamento valdostano su cui tutti hanno studiato e anche una modernizzazione della macchina regionale, uscendo dalla dimensione provinciale, che era eredità della soppressa Provincia di Aosta. Conosceva ogni anfratto dello Statuto d’autonomia e assieme lavorammo, quand’ero deputato, su alcuni filoni di riforma statutaria in confronti interminabili a modificare le norme che avrei presentato come emendamento. Era divertente questo dialogo fra uno sbarbatello quale ero e un uomo di cultura giuridica mostruosa, che per primo aveva capito la necessità delle norme di attuazione e di quelle finanziarie, sapendo piantare il coltello sul tavolo – metaforicamente - nei dibattiti più accesi.
Lo conoscevo da quand’ero bambino, essendo amico dei miei genitori e quando comincia con i calzoni corti a seguire i Consiglio regionali (“Consiglio Valle!” - ammoniva Renato) ammiravo al sua autorevolezza e autorità con i dipendenti della Regione che filavano ogni volta che Barbagallo appariva all’orizzonte. Severo, ma giusto. Sapeva valorizzare chi valeva e non nascondeva il suo disprezzo per chi faceva flanella. Per me era fonte inesauribile di racconti sugli anni Settanta e i suoi personaggi politici di allora, compreso il da lui apprezzatissimo Séverin Caveri, di cui conosceva doti e capacità, lamentandosi dell’oblio in cui era caduto nella memoria collettiva.
Mi voleva bene – sarà brutto dirlo, ma lo dico – per l’affezione che avevo avuto per lui, ma anche per l’etica del lavoro condivisa e per la scelta di fare il deputato a testa bassa in quel mondo romano che lui conosceva bene e ogni volta che c’era da dire qualcosa sulla Valle d’Aosta lo faceva con più trasporto di tanti valdostani. Ogni tanto ci vedevamo nel suo buen retiro di Pontey, che invecchiando dovette lasciare, e amava queste radici paesane, che forse gli ricordavano la sua provincia ai piedi dell’Etna, dove tornava con grande piacere nelle sue vacanze.
Era uno charmeur, che sapeva farci, con la sua eleganza, una loquela fuori dal comune e una classe naturale, sempre venata di ironia di chi ha conosciuto il mondo e si porta dietro una saggezza isolana già nel DNA. Aveva ceduto, però, al fascino della Valle, che è stata la sua Patrie e non caso ricordava sempre la necessità che i valdostani difendessero lancia in resta la loro Specialità così difficilmente conquistata e da tenere fresca anno dopo anno.
La sua memoria sarà per me qualcosa di indelebile e spero che la comunità valdostana abbia coscienza di avere perso con Renato un grande conoscitore e difensore di noi valdostani e si era conquistato la valdostanità, anche diventando Chevalier de l’Autonomie, con la sua vita piena di cose, di sentimenti e di saggezza.
Un ultimo abbraccio, Renato.