Ci avviciniamo ai 15 anni della tua morte, mio caro papà. Ci pensavo oggi, Festa del Papà, che mai abbiamo festeggiato, perché non siamo stati in famiglia tanto festaioli per cose del genere, che in fondo ritenevamo naturalmente banali senza averne neppure troppo parlato.
Non vorrei che si pensasse che tu non fossi stato un bon vivant: nel cassettone delle fotografie ce ne sono alcune assai divertenti. Sei sorridente con un gran ciuffo assieme alla tua Topolino in chissà quale gara ed era la tua prima macchina dopo la Lambretta.
Ci sono poi una serie negli anni si Galà al Casino di Saint-Vincent con il tuo smoking d’ordinanza con la mamma Brunilde con bellissimi abiti da sera e bei gioielli che le compravi con il cuore.
Abbiamo riversato super8 di serate di festa con la compagnia di amici e siete tutti sorridenti e scherzosi in serate che devono essere state più che memorabili. Ci sono poi foto di te, che ti eri rotto una gamba lanciandoti dal seggiolino della seggiovia per andare in un alpeggio con la solita fretta, portato su di un mulo nel periodo di convalescenza per non perdere un colpo. Questa tua maledetta fretta condiziona mio fratello Alberto e me e così la puntualità che diventa una paranoia quando capita di essere in ritardo.
Eri un uomo strano: ancora oggi trovo persone che ti hanno conosciuto e che ricordano la tua verve straordinaria fatta di battute fulminanti e barzellette divertenti. Un comandante dei carabinieri mi raccontava delle tue battute sui carabinieri e un amico prete delle tue freddure sui preti. Confesso che esisteva una filone licenzioso che sembrava crescere di tasso erotico più si avvicinava l’età della “sandropausa”, così come tu dicevi, aggiungendo che però da veterinario eri uno specialista di fecondazione artificiale.
Tuttavia, a casa, sapevano che avevi un altro volto, che ci hai svelato piano piano. Si tratta del periodo della tua prigionia in Germania e in Polonia, quando hai visto l’orrore di Auschwitz e hai maturato quello spleen che ha messo in ombra una parte della tua vita, quella interiore, meno nota.
Quando ti sogno sei sorridente ed io bambino. Sono a Pila con te e con zia Eugénie in quella montagna che faceva parte della tua vita. Grande sciatore delle gare di scialpinismo avevo deciso di smettere di sciare per paura di infortunarsi, perché per lui il lavoro era la sua missione.
Quando tornasti dal campo di prigionia, già dopo la Liberazione di Aosta, scoprsti due cose: la prima è tragica e cioè la morte del tuo amato fratello Antoine, fra i fondatori della Jeune Vallée d’Aoste ma diventato poi comunista (e ti faceva ascoltare Radio Mosca con una radio a galena), ucciso da una pistolettata accidentale mentre si accingeva a festeggiare la Liberazione di Aosta; la seconda è che i tuoi genitori, nonna Clémentine e nonno René, ricevevano dalla prigionia lettere di Sandrino (perché piccolino!) e del fratello Émile , scoprendo che erano abbastanza vicini, prigionieri dei tedeschi.
Sempre al ritorno dalla prigionia andasti dal papà per dirgli che non avrebbe proseguito Giurisprudenza, non credendo più al Diritto dopo aver visto Fascismo e Nazismo. La richiesta era Medicina, ma poi costava meno Veterinaria e quella fu la tua strada e dicevi, memore di certi orrori, sostenevi come fossero meglio gli animali degli uomini.
Quando te ne sei andato, mancava poco agli 86 anni ed eri abbastanza stufo e il tabagismo non ti aiutava per quel maledetto vizio del fumo che ti aveva tolto il fiato. Mi dicevi, ma con la raccomandazione di non dirlo alla mamma, che ti mancavano familiari e amici che non c’erano più e ti sentivi solo e stanco. Mi hai fatto molto riflettere su che cosa significhi l’ultimo tratto della nostra vita.
Avrei tanto da aggiungere, ma mi fermo qui e ti abbraccio, dovunque tu sia. Penso, conoscendo chi tu sei stato, in Paradiso.