Bisognerebbe creare un’apposita rassegna stampa mattutina, che individui le notizie più meritevoli per farsi qualche sana risata.
Come intitolarla sarebbe già una bella sfida, legata alla vastità di parole in lingua italiana che potrebbero essere usate come titolo e che designano con efficacia certe dichiarazioni o storie.
Si va dai classici come scemenza, imbecillità, idiozia, cretineria ai suggestivi grullaggine, somaraggine, scimunitaggine, zucconaggine, senza dimenticare - e si allarga la scelta - baggianata, castroneria, asineria, cavolata, stupidaggine, fesseria.
Ci sono poi espressioni volgari più o meno sdoganate come cazzata, minchiata o belinata per citare solo tre esempi, cui si potrebbero aggiungere altri e mirabili esempi dialettali. Basta aprire il giornale per trovare perle degne di queste parole.
Ecco Stefano Montefiori sul Corriere rifarsi ad una vicenda che ho sentito mille volte e spesso ho pure reagito, suscitando stupore nel mio interlocutore. Eccoci: “ «Ridateci la Gioconda!» è un tormentone, ormai per fortuna semi-scherzoso, che da tempo accompagna le relazioni tra Italia e Francia. Stavolta a occuparsi della questione è un’associazione francese, International Restitutions, fondata nel 2021 a Pollestres, un paesino dei Pirenei. Senza lasciarsi scoraggiare da precedenti insuccessi su altre opere, l’associazione punta ora al bersaglio artistico maggiore e chiede al Consiglio di Stato di cancellare il dipinto più famoso del mondo, la Gioconda, dalla lista dei beni di proprietà del Louvre per restituirla agli eredi di Leonardo da Vinci. Benché la domanda appaia strampalata, la più alta istanza della giustizia amministrativa francese sta studiando il dossier ed è chiamata a pronunciarsi entro qualche giorno. Il critico d’arte italiano Alessandro Vezzosi, che tre anni fa ha individuato 14 discendenti diretti di Leonardo in vita, dice che la richiesta non ha alcuna possibilità di essere accolta. La Gioconda si trova nelle collezioni francesi dal 1516 e al Louvre dal 1797, e non è frutto di alcuna spoliazione perché il re Francesco I la ottenne in dono da Leonardo da Vinci, in cambio della sua protezione e di una pensione, dopo che il genio toscano era caduto in disgrazia presso i Medici rifugiandosi in Francia. Abbiamo finito per impararlo noi italiani, manca solo che adesso ci tocchi spiegarlo ai francesi colti da improvvisi e generici scrupoli de-coloniali”.
Le agenzie di stampa - altro esempio - hanno riportato le dichiarazioni rese dal frizzante ministro dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida ?pronipote della celebre Gina), che in chiusura del suo intervento alla conferenza programmatica FdI, a Pescara è tornato sul suo programma “alimentare”.
Nota già fu una sua frase: “Da noi spesso i poveri mangiano meglio dei ricchi, cercando dal produttore l’acquisto a basso costo spesso comprano qualità“.
Ora si supera, annunciando la volontà di aiutare sui camerati di partito che hanno presentato una proposta di legge per aggiungere all’articolo 32 della Costituzione un comma siffatto:
«La Repubblica garantisce la sana alimentazione del cittadino. A tal fine persegue il principio della sovranità alimentare e tutela i prodotti simbolo dell'Identità nazionale». Roba che se fosse stata presentata alla Costituente avrebbe causato risate memorabili.
Ho trovato “gustosa” su X la risposta ironica e ficcante di tale Skiud, che propone di aprire così la Costituzione secondo Lollobrigida: «Art. 1. L'Italia è una cucina democratica, fonduta sul lavoro. La sovranità appartiene al polpo e patate, che la esercita nelle forme di parmigiano e nei limiti della Costituzione».