Sono stato a Valencia qualche anno fa e vedere ora le immagini apocalittiche delle morti e distruzioni per piogge torrenziali di quei luoghi mi ha colpito moltissimo.
A creare l’inferno sono caduti in otto ore circa 490 millimetri d’acqua, ossia la quantità media che abitualmente cade in un intero anno. Le inondazioni hanno travolto tutto e i cittadini sono stati presi alla sprovvista.
Ho letto sul Fatto Quotidiano Luca Mercalli, amico di lunga data, che di clima ne sa e ne parla da anni, che ha così commentato: “Fenomeni di piogge intense di questo tipo non sono una novità, anche in Italia, ma oggi sono amplificati dal riscaldamento globale. Dunque piove di più, con maggiori danni. E se contro inondazioni di tale portata e inadeguatezza delle infrastrutture è difficile agire tempestivamente, almeno si dovrebbe fare qualcosa per evitare le vittime. La mancanza di tempestività nel dare l’allerta e la forte urbanizzazione del territorio sono stati certamente due fattori che molto hanno inciso sul numero delle vittime della tempesta”.
Ma il punto che più mi interessa è un mio pallino. Così si esprime Mercalli: “Fuori dalle emergenza, bisognerebbe spiegare alle persone come comportarsi quando c’è l’allerta. Perché le alluvioni avvengono in pochi minuti e bisogna capire subito cosa fare, a seconda di dove sei. In certi casi è meglio restare a casa e magari andare ai piani superiori, in altri conviene muoversi per non rischiare di affogare in casa. C’è veramente tanto bisogno di organizzare esercitazioni di protezione civile, come fanno in Giappone per i terremoti”.
Di recente in Valle d’Aosta abbiamo avuto le inondazioni con smottamenti impressionanti a Cogne e al Breuil-Cervinia per fortuna senza vittime. Le Alpi hanno anch’esse le loro crescenti fragilità e la questione di allerta efficaci sono essenziali.
Oggi abbiamo sistemi di previsione del tempo più efficaci del passato e questo consente, come dice Mercalli, di informare la popolazione, che però deve essere istruita meglio sul da farsi in caso di calamità, perché è essenziale nelle fasi concitate di una emergenza.
Nell’occuparmi del settore del digitale con le sue grandi innovazioni, mi sono convinto che ci sono oggi sistemi assai interessanti di utilizzo dell’Intelligenza Artificiale per monitorare situazioni di pericolo con l’uso di tecnologie come i satelliti e i droni. Nulla di fantascientifico ed è giusto lavorarci per capire come si evolvano certi fenomeni che trasformano i territori in scenari di guerra.
Resta fondamentale la componente umana e la capacità di dare allerta mirati ai cittadini delle diverse località in tempo. prima che sia troppo tardi. Ho già parlato dei sistemi di alert e recenti incontri con esperti mi conferma di come oggi sia possibile uscire da tecniche artigianali, come i gruppi Whatsapp nati in alcuni Comuni per informare i cittadini, a allerta mirati - più efficaci di quelli che sta sperimentando la Protezione Civile nazionale con logica centralistica - che possono avvertire le persone sui propri cellulari in maniera assai specifica e dunque localizzata per minimizzare i rischi di morte evitabili con istruzioni giuste date in modo tempestivo.
È giustissimo - e in Valle d’Aosta lo si fa persino con abbondanza - segnalare nella convegnistica l’incidenza sul territorio del riscaldamento globale e combattere con forza i negazionisti che dispensano ignoranza sul tema, ma bisogna spingere sempre di più sulla coscienza collettiva e le determinazioni personali su come comportarsi di fronte ai fenomeni distruttivi.
La tragedia che ha colpito il País Valencià - di cui ho conosciuto nel tempo molto esponenti politici - ci deve dunque confortare nella ricerca delle soluzioni migliori per affrontare la realtà. È vero che in zona alpina ci sono sempre stati fenomeni meteorologici che hanno riempito le cronache del passato, ma oggi si stanno accentuando con conseguenze che possono essere drammatiche.
Proprio la recente alluvione ha dimostrato che le opere di contenimento sono risultate utili e bisogna lavorare ancora sulla prevenzione e non a caso sono ormai numerosi i monitoraggi che servono per osservare zone pericolose.
Ma il recente e clamoroso crollo della morena, dove una volta c’era il ghiacciaio della Tête de Valpelline, con lo spaventoso rilascio a valle di 2 milioni e mezzo di metri cubi di materiale, fa capire come il territorio si sia sempre più sotto minaccia e il primo dovere su cui insistere è proteggere le popolazioni informandole debitamente.