”Esco a giocare”. Mi domando quante volte voi lettori, da bambini e da ragazzi, abbiate pronunciato questa frase rivolti ai vostri genitori.
Ci penso ogni volta in cui vedo dei bambini che giocano. Ricordo a Roma, qualche tempo fa, dei ragazzini che giocavano a palla in Piazza in Lucina in mezzo a flottiglie di turisti da overtourism.
Lo stesso mi è capitato in questi giorni su di una spiaggia sarda, dove c’era un intero repertorio delle mia infanzia estiva: castelli di sabbia, gioco delle biglie, pallavolo in acqua.
Ho visto che su YouTube ha spopolato un video di due squadre di calcio di ragazzi che a Champoluc giocavano una partitelle a pallone e la naturalezza della voglia di giocare assieme ha creato un effetto a catena di visualizzazioni.
. Trovo su Internazionale un articolo del 2013 dello psicologo Peter Gray, su Aeon, giornale del Regno Unito.
Racconta quel che penso: ”Negli anni cinquanta, quando ero bambino, io e i miei amici ricevevamo due tipi di educazione: quella della scuola (meno impegnativa di oggi) e quella che definisco l’educazione dei cacciatori-raccoglitori. Quasi ogni giorno, dopo la scuola, giocavamo nel quartiere con ragazzi di tutte le età, spesso fino a quando faceva buio. Giocavamo nei fine settimana e durante l’estate. Avevamo tempo per esplorare, per annoiarci ed escogitare sistemi per vincere la noia, per metterci nei guai e tirarcene fuori, per sognare a occhi aperti, per dedicarci ai nostri passatempi, per leggere i fumetti o qualsiasi altra cosa volessimo leggere a parte i libri che ci avevano assegnato i professori. Quello che ho imparato dalla mia esperienza di cacciatore-raccoglitore è stato più utile per la mia vita da adulto di quello che ho studiato a scuola. Forse, se i miei coetanei si fermassero a pensare, molti direbbero lo stesso”.
Osserva più avanti: ”Poco a poco, a partire dagli anni sessanta, gli adulti li hanno privati di quella libertà aumentando il tempo dedicato allo studio ma, soprattutto, riducendo il tempo in cui possono giocare da soli, anche quando non sono a scuola e non devono fare i compiti. Gli sport organizzati dagli adulti hanno cominciato a sostituire quelli improvvisati e le attività extrascolastiche hanno preso il posto degli hobby. Inoltre, le paure degli adulti hanno spinto sempre più genitori a proibire ai figli di uscire da soli a giocare con gli altri ragazzi.I motivi che hanno determinato questi cambiamenti sono diversi ma, nei decenni, il loro effetto è stato una continua e drastica riduzione delle opportunità dei bambini di esplorare e giocare a modo loro”.
Ritengo che da noi questo sia avvenuto più tardi, ma le conseguenze sono esattamente le stesse.
Ancora Gray con un interrogativo illuminante: ”Tutti i piccoli dei mammiferi giocano. Perché sprecano energie e corrono dei rischi per giocare, quando potrebbero starsene tranquilli e al sicuro nella loro tana?“. Riposta: ”Oggi la teoria del gioco come esercizio è accettata da molti ricercatori, in quanto spiega perché gli animali giovani giocano più di quelli adulti (hanno più da imparare) e perché gli animali che per sopravvivere dipendono meno dal semplice istinto e più dall’apprendimento sono quelli che giocano di più. Conoscendo quali abilità un animale deve sviluppare per sopravvivere e riprodursi, è abbastanza facile prevedere come giocherà. I cuccioli di leone e di altri predatori giocano a correre, a inseguirsi e a saltarsi addosso, mentre i puledri delle zebre e di altre prede giocano a schivarsi e a scappare. I bambini, al contrario dei piccoli di altre specie, devono acquisire abilità diverse a seconda della cultura alla quale appartengono“. Segue un lungo elenco di comportamenti nei giochi che ci aiutano a crescere e a capire i meccanismi sociali.
Sostiene l’autore: ”Il gioco insegna le abilità sociali senza cui la vita sarebbe insopportabile. Ma insegna anche a controllare emozioni negative forti, come la paura e la rabbia. Gli etologi che studiano i giochi degli animali sostengono che uno dei loro scopi principali è aiutare i piccoli a gestire emotivamente (oltre che fisicamente) le situazioni di emergenza. Quando giocano, i giovani mammiferi di molte specie si mettono più volte e di proposito in situazioni moderatamente pericolose.A seconda della specie, balzano in aria in modo goffo per rendere difficile l’atterraggio, corrono lungo il bordo dei precipizi, saltano da un ramo all’altro a un’altezza tale che, se cadessero, si farebbero male o giocano alla lotta in modo da mettersi a turno in una posizione di svantaggio alla quale devono sottrarsi. Anche i bambini, quando sono liberi, fanno la stessa cosa, facendo innervosire le mamme. Si drogano di paura fino a raggiungere la dose più alta che riescono a tollerare e imparano a gestirla. Questo tipo di giochi dev’essere spontaneo e non incoraggiato da una figura che ha l’autorità”.
Insomma: ”Il mondo dei giochi è la palestra per imparare a diventare adulti. Per un bambino giocare significa provare a essere controllato e responsabile. Togliendo il gioco, priviamo i bambini della possibilità di esercitarsi a essere adulti e creiamo persone che per tutta la vita si sentiranno vittime e dipendenti, con la sensazione di un’autorità che gli dice cosa fare e risolve i problemi al posto loro. Non è un modo sano di vivere”.
Sono elementi di riflessione e capisco quanto sia difficile far marcia indietro.
Oltretutto, ma nell’articolo manca perché solo ora il fenomeno è esploso, c’è la profonda crisi demografica, che rende i bambini di oggi più soli e all’apprensione dei genitori si aggiunge la mancanza di materia prima: altri bambini con cui giocare.