Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
12 ago 2025

Tempo di filmatini…

di Luciano Caveri

Ogni tanto mi diverto a pensare alle causalità che mi hanno consentito di diventare giornalista professionista.

Credo di avere già raccontato più volte della scoperta della bellezza della radio da ragazzino attraverso i microfoni di Radio Saint-Vincent in quegli anni avvincenti alla metà degli anni Settanta, quando esplose il fenomeno delle radio private. In quegli stessi anni, capii la difficoltà con quell’esperienza amatoriale di diventare pubblicista, all’epoca un primo scalino per ascendere alla professione vera e propria. Per cui mi misi a scrivere dei pezzi per la Sentinella del Canavese con lo stupore, già provato con la voce trasportata in FM, di veder il prodotto e talvolta la mia firma stampati sul giornale. Questo interesse per la carta stampata mi portò negli anni successivi a scrivere per il Corriere della Valle e con amici fondammo pure un settimanale, che non durò molto.

Ma in realtà il vero choc fu la televisione: RTA (Radio Tele Aosta) mi fece scoprire la bellezza della TV e mi trovai a condurre il Telegiornale, a realizzare reportage e ad animare veri e propri dibattiti. In una struttura, finanziata dal big del settore edile valdostano, Giuliano Follioley, che avrebbe potuto diventare un fenomeno nazionale se l’imprenditore avesse avuto il coraggio di uscire dal territorio valdostano. Invece quella televisione, che fu fenomeno sociale con ascolti elevatissimi. Si spense anche in seguito ai guai giudiziari di Follioley.

In realtà io uscii prima della chiusura, perché ero stato peperino in alcuni servizi televisivi e due politici di allora chiesero e ottennero la mia testa, per cui venni licenziato e fu la mia fortuna. Infatti divenni collaboratore della RAI e, con una serie di fortunate circostanze e l’affetto del Caporedattore di allora, Mario Pogliotti, venni assunto come il più giovane giornalista Rai di allora.

Quando ci fu la scelta di propormi come candidato alla Camera dei deputati, usai i filmati e le dirette televisive sulle emittenti locali, divertendo moltissimo il mio partner per le elezioni politiche, César Dujany, che scoprì un mondo che conosceva poco.

Sicuramente l’investimento in questa forma innovativa fece la differenza, sia nel 1987 che nel 1992 quando contro gli autonomisti nacquero coalizioni “tutti assieme contro”, che ebbero un triste destino, specie rispetto a numeri che li vedevano assolutamente vincente e, invece, furono perdenti.

Questa storia della televisione me la portai dietro, marcando delle presenze di rendiconto dell’attività parlamentare in televisioni come Tele Alpi, che al tempo trasmetteva da un mobilificio di Verrès.

Al tempo, tuttavia, ad usare la televisione erano pochi in politica. Il mezzo era difficile per molti che non avevano conoscenza e direi naturalezza nel suo uso.

Con l’avvento del Web e dei Social al suo interno, si sono aperte finestre per tutti grazie all’utilizzo di telefonini, che hanno la telecamera incorporata.

Oggi il fenomeno è dilagante. In queste elezioni regionali ci sono candidati che già sono lanciatissimi nell’uso di filmatini e alcuni fanno davvero tenerezza. In brevi spezzoni filmati

affrontano temi epocali, senza rendersi conto della qualità del prodotto, della capacità di eloquio e anche del rischio incombente di autogol o di sovraesposizione.

“Farsi vedere” diventa un mantra e così sui Social spuntano neofiti del mezzo televisivo, che trattano brevi cenni dell’Universo con aria melliflua alla ricerca di consenso. Tutto corretto e ciò passa attraverso qualche aiutino di chi smanetta nel settore o anche con autoproduzioni più pane e salame.

Viene in mente l’espressione “15 minuti di notorietà” (“15 minutes of fame”), che indica una breve e intensa parentesi in cui una persona diventa improvvisamente famosa o molto visibile al pubblico, per poi tornare presto nell’anonimato. Il termine è stato reso celebre dall’artista Andy Warhol, che nel 1968 disse in modo un po’ ironico ma in qualche maniera anticipatorio di quanto poi accaduto: “In futuro, ognuno sarà famoso per 15 minuti”.

L’idea alla base è che, con i mass media e oggi ancor di più con i social network, la fama possa essere effimera: un video virale, un’apparizione in TV, una frase controversa o un evento particolare possono catapultare qualcuno sotto i riflettori, ma la curiosità del pubblico svanisce rapidamente come un fuoco di paglia.

In pratica, è il concetto di fuoco di paglia” che una carriera duratura.

Oggi su TikTok, Instagram Reels o Twitter/X, il “momento virale” può durare ore più che giorni e lo stesso vale su Instagram e Facebook. L’attenzione del pubblico è, purtroppo, ultra-rapida: scorri, vedi, dimentichi.

Vale anche per l’uso politico di questi mezzi e lo scrivo non per deprimere chi ha “scoperto” questi media e accelera la presenza con l’approssimarsi delle elezioni, ma perché il suo uso risulta - nel bene come nel male - materia di studio e riflessione interessante e mi scorre nella memoria quanto si sia evoluto tutto, pensando ai miei esordi.