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01 ott 2025

1 Ottobre di ricordi

di Luciano Caveri

Oggi per me, almeno nella mia immaginazione, inizia la scuola. Il 1 ottobre è stata la data canonica dell’inizio delle lezioni per tutto il mio iter scolastico, tranne che nell’anno della Maturità.

Eravamo, in quel tempo che appare sempre più dorato se raffrontato all’oggi, i remigini, termine che derivava appunto dalla festa di San Remigio.

Per cui certe rentrées scolaires, a lungo praticate, mi fanno vedere quella data con nostalgia e mi ritrovo a sorridere nel solo pensarci.

Mi capita certe mattine, quando incrocio gruppi che entrano a scuola e invidio quella loro freschezza e in loro riconosci quei valori che nella vita si portano sempre nel cuore e che contano molto di più di altre cose che deludono.

Il ritorno a scuola era per me sempre una festa nello scalare le classi sino all’Università per poi approdare al lavoro.

È suggestivo tornare con la memoria a quei passaggi. Per la prima elementare non ho ricordi diretti, se non una fotografia e il racconto dei miei genitori di me bambino che a scuola non ci voleva stare e che poi, con una certa turbolenza, scoprì la vita con i suoi coetanei.

E le medie? Un passo in avanti con la scoperta del mondo, uscendo pian piano dall’infanzia.

E poi le Superiori, prima ad Aosta e poi a Ivrea, viaggiando verso l’età adulta con amicizie ancora presenti, ora come allora.

La scuola era uno straordinario caposaldo della socialità e cominciare l’anno era una gioia, un ritrovarsi o una scoperta di nuove compagnie e avventure. Un disvelarsi in cui sceglievi poi i compagni con maggior affinità: una sorta di educazione sentimentale.

Pare che oggi non sia più così e ne ha scritto su Sette Antonio Polito riguardo alle generazioni attuali: “Non mi sembra che tornino in classe con la felicità dei nostri tempi, quando eravamo sazi d'estate e desiderosi di riprendere le nostre relazioni sociali, interrotte per le vacanze, perché erano tutte concentrate nelle aule scolastiche: amicizie, competizioni, amori, flirt, sguardi, battute, ricreazioni, perfino un professore qua e là che sapeva farsi amare.

Mi sembra che oggi, nel migliore dei casi, il ritorno a scuola sia al massimo sopportato. E per quanti sforzi stia facendo il ministro Valditara per tornare ai bei tempi di una volta (misure in molti casi giuste, non "autoritarie"), temo che ci sia qualcosa di strutturale, e di più profondo, all'origine di questo divorzio tra la scuola e la gioventù.

Nel regno della parola scritta, dei libri e delle lavagne, sembra smarrirsi annoiata e turbolenta una generazione abituata ormai a pensare e ad apprendere esclusivamente per immagini. Ragazzi con un cervello diverso. Un vero e proprio salto evolutivo. Che rende la scuola inevitabilmente, anche se generosamente, obsoleta”.

Il ragionamento è interessante e ci pone di fronte ad un mondo che cambia e che amplifica problemi di interazione fra ragazzi, vittime di dipendenze da strumenti che racchiudono il mondo in una dimensione virtuale e immateriale.

Ma questo non riguarda solo loro, ma la nostra capacità di genitori e quella degli educatori, che rischiano di scegliere solo la strada irta del proibizionismo e della censura.

Quando, invece, il tema resta il confronto per capire il da farsi e questo fra adulti e con i bambini e ragazzi con scelte che consentano di far capire il valore di ritrovarsi, di esserci, di fare gruppo non perché lo impongano leggi o regole, ma perché a sostanziale fondamento della civile convivenza.